Sci ripido in Svizzera

Nel febbraio 2013 lo svizzero Sébastien de Sainte Marie e lo svedese Olov Isaksson hanno effettuato delle discese, probabilmente le prime in assoluto, lungo due itinerari sulla parete nord di Dent Favre (Alpi Bernesi) e la parete nord di Pilatus (Alpi di Uri). Il racconto di Olov Isaksson.

Pilatus Parete Nord 500m 5,3 E4
A novembre, mentre bevevo un caffè in riva al lago a Lucerna, ho notato una bella linea sulla parete nord del Pilatus. Potrebbe essere già stata sciata? Di recente Seb e io siamo andati a dare un’occhiata. Abbiamo salito l’intera linea – il punto chiave è stato l’esposto traverso lungo una stretta cengia – e prima di raggiungere il ristorante in cima siamo stati colpiti da una finissima neve come non l’avevamo mai vista prima. Abbiamo scoperto che veniva dalla macchina che sparava neve artificiale, per fortuna l’operaio è stato così gentile da spegnerla per permetterci di scendere in sicurezza. Durante tutto la giornata c’è stata molta nebbia, purtroppo le foto che abbiamo scattato non sono granché. Dato che la linea è visibile da Lucerna – una città con un sacco di grandissimi sciatori – non mi sorprenderebbe se fosse già stata sciata in precedenza.

Dent Favre Parete Nord 1100m 5,3 E4 due corde doppie (Couloir à Olov)
Seb ha un grande occhio per la nuove linee e mi ha invitato a tentare una linea lungo la parete nord del Dent Favre. Abbiamo iniziato la giornata salendo con le pelli per 250 metri dagli impianti di risalita di Ovrannaz, poi siamo scesi sull’altro versante. La linea inizia con una traversata lunga, bella ed esposta che raggiunge poi un canalone "nascosto". Abbiamo dovuto fare una breve calata per entrare nel canalone ed un’altra breve doppia per uscirne. Dal basso abbiamo visto che si potrebbe evitare almeno il primo.

Olov Isaksson

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The return of the Jedi per James Pearson a Bank Quarry

Il climber britannico James Pearson ha aggiunto The Return of the Jedi HXS 7a, una difficile vie di gritstone a Bank Quarry, Derbyshire, Inghilterra.

A volte le notizie viaggiano alla velocità della luce, altre volte ci vuole tempo affinché vedono la luce. E’ proprio questo il caso di The return of the Jedi, la difficile piccola via di James Pearson nella falesia Quarry Bank che l’inglese ha liberato alla fine di dicembre 2010. Pearson ha protetto l’atterraggio dallo spigolo con un paio di crashpads e ha gradato la via HXS 7a. Questa è la seconda via di Pearson in questa falesia dopo – per rimanere sempre in tema di Star Wars – The Power of the Dark Side E8 6b, liberato nel 2006 e, a sentire Pearson, tuttora una delle sue migliori creazioni.

Sul suo blog Pearson ha raccontato: “Il grado HXS 7a spiega sufficientemente, o il poco che basta. In altre parole, sarebbe forse un 8a+ con la corda dall’alto, e con un paio di spit sarebbe una piccola feroce gemma. Dalla base fino alla cengia è un continuo lancio, lancio, lancio e non c’è tempo per fermarsi e prendere la magnesite! Con abbastanza crashpads e grande coraggio la parte bassa potrebbe essere un bel boulder highball, ma la via finisce in alto, distante da terra e ha ancora un passaggio difficile. Ho scelto quindi di usare la corda e mettere delle protezioni (non buone) che, se non altro, hanno aiutato Caroline a sorridere fino alla fine del calvario.”


The Return Of The Jedi – HXS 7a, Bank Quarry, Derbyshire, Inghilterra

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Coppa del Mondo Lead a Valence, Francia

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75 atleti si stanno dando battaglia da questa mattina per l’ottava tappa della Coppa del Mondo Lead di arrampicata sportiva a Valence in Francia.

Ovviamente gli occhi sono puntati sugli attuali leader, l’austriaco Jakob Schubert (ormai imprendibile, e la domanda vera è se riuscirà a battere il suo record di 7 vittorie in 7 gara e farne 8 oppure se Ramon Julien Puigblanque lo saprà contrastare…) e Mina Markovic in cerca della sua prima vittoria del Trofeo mondiale. La slovena deve  stare attenta all’attacco della coreana Jain Kim che sta difendendo la Coppa vinta l’anno scorso, attualmente le due sono separata da 70 punti. Questa gara in Francia, prima del rush finale a Kranj e Barcellona, è più importante che mai.

Venerdì 28 ottobre
09:00 Qualificazione maschili e femminili
Sabato 29 ottobre
12:30 Semifinali maschili e femminili
20:00 Finale femminile
21:30 Finale maschile
22:45 Premiazione

Come sempre la gara è trasmessa live su www.ifsc.tv

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La Classica Moderna, Monte Bianco

Video di Hervé Barmasse, Iker ed Eneko Pou e la “La Classica Moderna”, la nuova via che i tre alpinisti hanno aperto sul Pilastro di sinistra del Brouillard (Monte Bianco).

Dopo l’apertura di “La Classica Moderna” sul Pilastro di sinistra del Brouillard (Monte Bianco) all’inizio di agosto, ecco il video di Hervé Barmasse, Iker ed Eneko Pou che fa parte del progetto di trilogia di Barmasse, Exploring The Alps.

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Campionati del Mondo di arrampicata di Arco visti da PlanetMountain

Il team di Planetmountain è al Campionati del Mondo di arrampicata di Arco: le nostre dirette, i nostri report, i nostri video e le bellissime immagini di Giulio Malfer e Anna Piunova.

Quinta giornata dei Campionati del Mondo di arrampicata di Arco. Secondo giorno della prima edizione del Campionato del mondo ParaClimbing. Dalla nostra postazione privilegiata di Arco, dove aggiorniamo il sito ufficiale della manifestazione, stiamo vivendo un’esperienza intensa e molto bella. Era l’unica che ci mancava… far parte del team dell’organizzazione di questi mondiali (dopo una collaborazione durata 6 Rock Master) è insieme una grande prova professionale ma anche una bella e appassionante avventura.

Qui ad Arco si respira davvero una bella energia. E lo spettacolo sportivo è grandissimo. Le finali del boulder di domenica scorsa sono state esaltanti (chiedere conferma ai più di 5000 spettatori presenti…). E abbiamo ancora negli occhi lo stupore per lo spettacolo di apertura di sabato…

I mondiali di ParaClimbing di cui oggi è appena cominciata la seconda giornata dedicata al Lead sono una sorpresa che vi invitiamo, se siete nei paraggi, a venire a vedere… non ve ne pentirete.

Da parte nostra, aspettando che scendano in campo i campioni del Lead e dello Speed, continuiamo con le nostre dirette, i nostri report, i nostri video e le bellissime immagini di Giulio Malfer e Anna Piunova.

Venite a visitarci….

– gallery
– video
– finale boulder maschile
– finale boulder femminile
– diretta day by day

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Scoiattoli di Cortina: Mario Lacedelli è il nuovo presidente

Il Gruppo Scoiattoli di Cortina d’Ampezzo ha un nuovo presidente: Mario Lacedelli che succede a Stefano Dimai. Domani 1 luglio gli Scoiattoli di Cortina festeggiano i loro 72 anni dalla fondazione del sodalizio che ha fatto la storia dell’alpinismo dolomitico e non. Dal 9 luglio il Gruppo è impegnato con la 3a edizione di Cortina in Croda.

Mario Lacedelli è il nuovo presidente del Gruppo Scoiattoli di Cortina d’Ampezzo. La notizia era nell’aria da alcune settimane e martedì sera il consiglio del sodalizio degli uomini dal maglione rosso l’ha ufficializzata. Dopo le dimissioni che a fine mandato ha inoltrato l’ex presidente Stefano Dimai “Cash” gli Scoiattoli hanno chiesto a Lacedelli, nipote del celebre lino, di presiedere nuovamente il gruppo.

Lacedelli infatti in passato per oltre 15 anni ha guidato gli Scoiattoli e ora ha accettato con il solito entusiasmo: «E’ un nuovo incarico che arriva un po’ inaspettatamente», ammette Lacedelli, «in quanto prendo il posto di Dimai “Cash” che è ancora impegnato ad uscire da un infortunio. Il gruppo mi ha chiesto di diventare il nuovo presidente e ho accettato con piacere».

Una figura nota, quella di Lacedelli, sempre in prima linea nelle spedizioni, e negli eventi culturali dedicati alla montagna. Appena tornato dalla vetta dell’Alpamayo in Perù, Lacedelli è già al lavoro affinché tutto riesca al meglio nella rassegna “CortinainCroda” la kermesse dedicata alla cultura di montagna che si appresta a dare il via alla terza edizione, di cui Lacedelli è presidente.

Domani 1 luglio per gli Scoiattoli sarà un giorno particolare. Alle 18.30 in Basilica minore verrà infatti celebrata una messa per ricordare la fondazione del gruppo che avvenne il primo luglio del 1939. «Settantadue anni fa», ricorda Lacedelli, «nasceva il nostro gruppo. Il motto era “Tutti per uno e uno per tutti”. Oggi come allora siamo ancora uniti, ci lega una forte amicizia, la passione per la montagna, il rispetto per l’ambiente, l’amore per le crode. L’anniversario della fondazione per noi è sempre un momento importante denso di ricordi del passato e di speranze per il futuro». E nel prossimo futuro degli Scoiattoli c’è già un primo appuntamento dedicato ai ragazzi di Cortina.

Domenica 10 luglio in Cinque Torri gli Scoiattoli e le Guide Alpine di Cortina per un’intera giornata metteranno a disposizione dei giovani la loro esperienza e li avvicineranno all’arrampicata. «L’arrampicata», conclude Lacedelli, «per il nostro sodalizio è molto importante. Siamo soddisfatti che a Cortina sarà realizzata una palestra di roccia e ci auguriamo di poter dare la nostra consulenza nell’esecuzione dei lavori». Continuerà poi il tour di “Rosso 70” il film di Vinicio Stefanello e Francesco Mansutti che racconta i 70 anni degli Scoiattoli e che prossimamente sarà presentato a Faenza e a Vicenza.

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Nuove cascate in Valle di Trona

In Valle di Trona (Val Gerola) Cristian Candiotto ha aperto due nuove cascate di ghiaccio, Crys (II/5, 60m) e Mutua day (150m II/3) rispettivamente con Paolo Lancini e Alfredo Tosarini.

Nel mese di dicembre e gennaio nella piccola Valle di Trona, sopra la Val Gerola in provincia di Sondrio, Cristian Candiotto ha colto l’occasione per salire due (probabili) nuove cascate di ghiaccio Crys (II/5, 60m) e Mutua day (150m II/3). Mentre Mutua day è stata salita il 12 dicembre 2012 assieme a Paolo Lancini, la vicina Crys è stata salita il 26 gennaio scorso in cordata con Alfredo Tosarini. Da notare che queste due vie si aggiungono al Couloir Del Caimano, la cascata aperta da Candiotto in free solo nel 2007.

SCHEDA: Crys, Valle di Trona

SCHEDA: Mutua Day, Valle di Trona

SCHEDA: Couloir del Caimano, Valle di Trona

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Arrampicare in Etiopia: il video di Edu Marin, Marco Jubes e Toti Valés

Il video della spedizione Etiopia verticale che lo scorso febbraio ha visto i climber e alpinisti spagnoli Edu Marin, Marco Jubes e Toti Valés protagonisti dell’apertura di due vie: Arenas Movedizas (350m, 7b+/c) e Costa Brava (800m, max 8a), entrambe salite in libera e a-vista.

L’arrampicata come avventura per tutte le latitudini. Nel caso degli spagnoli Edu Marin, Marco Jubes e Toti Valés tutto è successo in Etiopia, più precisamente nella regione di Tigray la più settentrionale del Paese, dove nel febbraio scorso hanno aperto 2 nuove vie. La prima Arenas Movedizas supera in 350 metri di 7b+/c) una parete vicina al villaggio di Hawzin seguendo una fessura su roccia arenaria “tenera” e di scarsa qualità. La seconda, Costa Brava, sempre caratterizzata dall’arrampicata in fessura e aperta da Marin e Jubes con un bivacco in parete poco sotto la vetta, raggiunge con 800m di sviluppo e difficoltà fino all’8a la cima monte Samayata (montagne di Adwa). Entrambe le vie sono state salite in libera, a-vista utilizzando protezioni veloci e pochi chiodi.

Edu Marin (climber da 9a – l’ultimo, Era Bella (a Margalef), salito lo scorso maggio – ha descritto l’esperienza come “Unica, bella, pericolosa e, soprattutto, molto gratificante. Una grande lezione, a livello personale e professionale”. Basti dire che oltre alla difficoltà e alle emozioni del tutto “alpinistiche” delle due vie, la spedizione, come fa notare Marin, non poteva contare su nessun aiuto esterno in caso di incidente. Il resto l’ha fatto l’ambiente e l’Africa… come l’inaspettato incontro in cima alla prima via: “Abbiamo raggiunto la cima di notte” scrive Marin nel suo blog “ad aspettarci c’era un monaco di 70 e più anni, seduto con i piedi sospesi su un vuoto di 350 metri, impressionante!”

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Kilimanjaro, in cima al tetto d’Africa

Pole pole … hakuna matata: la salita del Monte Kilimangiaro, la montagna più alta dell’Africa raccontato da Nicola Noè.

“Pole pole” che in swahili significa “lento, adagio, piano” e “hakuna matata” che sta per “nessun problema” sono le parole chiave per salire il Tetto dell’Africa, fino al suo punto più alto, Uhuru Peak a quota 5895m, dove “Uhuru” sempre in swahili significa “Libertà”, libertà dalla schiavitù, indipendenza dal colonialismo. Questa è la filosofia proposta dalle guide del Kilimanjaro: non la velocità, non la competizione, ma la consapevole lentezza e la solidarietà, l’importante non è la prestazione del singolo, ma il risultato è positivo se si riesce a portare tutto il gruppo in cima – ed è quanto è successo al nostro eterogeneo gruppo di 8 persone. E la bandiera della Pace portata in cima al “Picco della Libertà” richiama il concetto di “Ubuntu”, parola in lingua bantu dei Chagga, gli indigeni della regione del Kilimanjaro, che indica “benevolenza verso il prossimo”.

L’immensa calotta sommitale ci appare imbiancata, complice la stagione avanzata e quello che hanno chiamato un piccolo monsone che ci ha accompagnato con scrosci di pioggia per tutti i giorni sulla montagna. La neve in quota ha comunque una sua ragione d’essere, così adornata la montagna è ancora più affascinante. Anche il grande Ernst Hemingway fu rapito da questa immagine quando diede il titolo The Snows of Kilimanjaro ad un suo breve racconto, dove il protagonista Harry, in letto di morte per una ferita infetta, sogna un aeroplano che lo porti in cima alla grande montagna, sulla sua vetta occidentale chiamata Masai Ngàie Ngài, Casa di Dio, laddove si trova la carcassa stecchita e congelata di un leopardo che nessuno sapeva spiegare cosa cercasse a quell’altitudine …

Anche il nome Kilimangiaro è un mistero. Le popolazioni autoctone Chagga non usavano questo toponimo per indicare la grande montagna. Allora bisogna lasciarsi suggestionare dalla percezione che ne avevano le popolazioni dei grandi altipiani ad Occidente, quei Masai che vedevano l’imponente montagna da ogni dove delle loro terre, che da Arusha (Tanzania) arrivano fino a Nairobi (Kenia). Così gli esploratori europei adottarono il nome Kilimangiaro nel 1860, sostenendo che questo era il nome della montagna in lingua swahili, supponendo che si potesse scomporre in Kilima, in swahili “collina” o “piccola montagna” e Njaro che, per alcune teorie, è un’antica parola swahili per bianco o splendente.

La leggenda vuole che la prima salita del Kilimanjaro sia di re Menelik I, figlio di re Salomone e della regina di Saba. Più prosaicamente, la prima salita storica fu ad opera del geografo tedesco Hans Meyer il 6 ottobre 1889 in compagnia della guida locale chagga John Lauwo, dopo vari tentativi, respinto dalle avverse condizioni climatiche e dalla fitta vegetazione che ne ricopriva le pendici, lungo il versante sud-est, che è ancora il più frequentato, dove ora sale la Marango Route. Dopo 123 anni dalla prima salita conquista, ahimè, molte cose sono cambiate: gorilla di montagna, scimpanzé, leopardi, bufali e antilopi che popolavano le pendici sono stati pressoché sterminati e alberi secolari sono stati abbattuti. Sono ora presenti circa 140 specie di mammiferi, tra i quali sopravvivono una popolazione di qualche centinaia di elefanti, qualche esemplare di bufalo nero e di leopardo, mentre Il rinoceronte nero è scomparso; nella foresta pluviale ci sono babbuini e cercopiteci e altri primati; al di sopra della linea degli alberi si trovano l’antilope alcina e l’antilope di Abbot. Vi sono poi circa 180 specie di uccelli, la maggior parte delle quali abitano la zona di foresta pluviale, tra i quali il rarissimo lo storno di Abbot e la splendida nettarinia malachite di Johnston che si nutre del nettare di Protea e l’onnipresente corvo collobianco.

La salita – pole pole – è un entusiasmante susseguirsi di fasce climatiche e vegetazionali che si attraversano longitudinalmente, al ritmo di una al giorno, dai 900m slm di Moshi fino ai quasi 6.000m della vetta. Così fino al limite del Parco Nazionale, posto tra i 1.600 e i 1.900m a seconda del cancello di entrata, si succedono le coltivazioni con prevalenza di mais, caffè e banano, orticole e frutta varia. Fino ai 2.700m è foresta montana pluviale dove in queste condizioni climatiche gli alberi, in prevalenza Macaranga ricoperti di muschi e licheni, assumono dimensioni gigantesche e le chiome formano suggestive gallerie verdi. Oltre, fino ai 4.000m si attraversa la brughiera, la zona più bassa è costituita da Erica arborea, mentre le piante più singolari e caratteristiche sono i seneci giganti. Poi il deserto d’alta quota fino ai 5.000m, in queste inospitali condizioni sono state censite solo 55 specie pioniere assieme a muschi e licheni lapidicoli. Al di sopra di questa quota, in questa zona caratterizzata da condizioni climatiche molto fredde con basse temperature e forti gelate notturne, radiazioni solari molto intense, ossigeno rarefatto e le precipitazioni sono nevose, solo roccia, neve, ghiacci e pochi licheni.

Ora l’intera regione è un parco nazionale (Kilimanjaro National Park); nel 1910 fu dichiarato riserva naturale dal governo coloniale tedesco, poi nel 1921 divenne riserva forestale, ma si deve giungere al 1973 perché l’area montana sopra la linea degli alberi (~2.700 m) venne riclassificata come parco nazionale, per poi essere dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1987.
Il Parco fu aperto al pubblico accesso nel 1977 e già nel 1978 Reinhold Messner con Konrad Renzler in 20 ore scriveva una delle pagine più importanti della storia alpinistica del Kilimanjaro, sulla impotente bastionata Sud-Ovest, aprendo la Breach Wall Direct Route attraverso The Icicle, una delle vie considerate più difficili al mondo e da lui considerata tra le più pericolose che abbia mai salito.

MACHAME ROUTE
La Machame Route è riconosciuta come una delle più spettacolari, ma non offre molte possibilità di riparo e si dorme in tenda a differenza della più frequentata Marangu Route, dove i pernottamenti sono nei rifugi. Ha il pregio di salire dal versante Ovest le pendici della montagna, di attraversare in quota il versante Sud della montagna (siamo sotto l’Equatore e quindi la Sud ha il fascino delle nostre Nord) per poi attaccare la cima sul versante Est. In questa affascinate cavalcata si incontra la storia geologica del Kilimanjaro con i suoi 3 crateri principali che portano i nomi in lingua bantu dei Chagga: a ovest Shira, con un’altitudine di 3.962 m e i suoi 500.000 anni di età, a est Mawenzi (5.149 m) e al centro Kibo, il più giovane con la vetta più alta dell’Africa, l’Uhuru Peak (5.895 m) e i suoi 360.000 anni. Scendendo tra Kibo e Mawenzi, dove salgono la Mweka e la Marango Route, si percorre giace una piattaforma di circa 3.600 ha, chiamata “La Sella”, che costituisce la più estesa tundra d’altura del continente.

Dati tecnici
La regola del 5 per arrivare in vetta attraverso la Machame Route: Uhuru Peak a quota 5.895 m, 5 giorni di salita, quasi 50 ore e 50 km di cammino, oltre 5.000 m di dislivello in salita, 5 notti in tenda.
– Giorno 1 – Machame Gate (1738 m) a Machame Camp (3010 m); foresta montana pluviale; 13 km, 7 h.
– Giorno 2 – Machame Camp (3010 m) a Shira Camp (3840 m); prima foresta montana pluviale e poi brughiera; 9 km, 6 h
– Giorno 3 – Shira Camp (3840 m) a Lava Tower (4630 m), salita per favorire processo di acclimatamento in area semi-desertica e rocciosa; si riscende poi a Barranco Camp (3950 m); brughiera; 15 km, 7 h
– Giorno 4 – da Barranco Camp (3950 m) si supera l’ostacolo del Great Barranco Wall risalendolo fino a circa 4.200 m; si scende a 3800 nella parte inferiore morenica del ghiacciaio Heim per poi passare nella Karanga Valley con il Karanga Camp (4.050 m) e poi proseguire per Barafu (in swahili “ghiaccio”) Camp (4.640 m), 13 km, 7 h
– Giorno 5 – Barafu Camp (4.640 m) a Uhuru Peak (5.895 m) e discesa a Mweca Camp (3083 m), 7 km, 7 h poi discesa per 23 km e 8 h
– Giorno 6 – Mweca Camp (3083 m) a Mweca Gate (1630 m), 15 km, 4 h

Colonna sonora
Ad accompagnarci nel lungo viaggio la trascinante allegria della canzone “Jambo Bwana”. In cambio le nostre guide hanno imparato l’altrettanto contagiosa marcetta “I Watussi” divertendosi molto alla traduzione.

Attrezzatura specifica
Oltre alla usuale dotazione da trekking, cosa non dimenticare:
– Saccone/borsa impermeabile per trasporto materiale (fino a 12 kg)
– Sacchi di plastica per isolare indumenti nel saccone
– Zaino da 30 l
– Telo impermeabile per coprire zaino
– Mantella per la pioggia
– Sacco a pelo per la montagna (consigliato -10°C)
– Borraccia da 1 litro
– torcia elettrica con batterie di riserva
– 1/2 scarponcini da trekking (impermeabili e fino a -10°C)
– Ghette leggere
– biancheria termica (maglia & calzamaglia)
– passamontagna o maschera da ghiacciaio

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Come arrivare
La soluzione più economica dall’Italia è atterrare in Kenia a Nairobi, anche con scalo al Cairo o Istanbul per ridurre il costo del biglietto aereo. Tempo effettivo di volo 8-9 h. Da Nairobi ci sono autobus per Arusha in Tanzania (6-7 h) che attraversano il confine al valico di Namanga. Da Arusha sempre in bus si giunge a Moshi in un paio d’ore, ai piedi del Kilimanjaro, da dove partono i trekking e le ascensioni al tetto dell’Africa.

APPROFONDIMENTO: Gli ecosistemi del Kilimangiaro di Nicola Noè

Cerro Standhardt in inverno per Siegrist, Senf e Weber

Stephan Siegrist, Thomas Senf e Ralf Weber sono riusciti a salire il Cerro Stanhardt, la cima più settentronale del gruppo del Cerro Torre, in stile alpino ed in inverno, lungo la via Exocet.

Dopo un primo tentativo abbandonato a causa del tipico vento Patagonico, i tre sono partiti il 30 luglio per raggiungere il campo Bridwell dove, dopo una notte, hanno proseguito il giorno successivo per raggiungere il Camp Niponino e poi il Colle Standhart dove inizia la via Exocet.

La neve fresca ed il ghiaccio su parete e fessure hanno reso la salita molto più ardua e lenta del previsto. Dopo un altro bivacco ed un altra faticosa giornata di arrampicata, con temperature fino a -20 °C, gli svizzeri hanno raggiunto la cima alle 18.30. “Proprio mentre calava il sole” ha commentato Siegrist “è uscita la luna piena. Che spettacolo!”. Gli alpinisti hanno bivaccato appena sotto il fungo sommitale nel “bivacco più bello di sempre”, poi si sono calati fino al ghiacciaio il 2 agosto.

Siegrist non è affatto nuovo a salite in inverno nell catena del Cerro Torre: nel mese di luglio del 1999 ha effettuato la prima salita invernale della parete ovest del Cerro Torre insieme a Thomas Ulrich, David Fasel e Greg Couch, mentre nell’agosto del 2010 Siegrist ha effetuato la prima invernale della Torre Egger salendo la via Titanic insieme a Dani Arnold e Thomas Senf. Siegrist è il primo ad aver salito queste tre bellissime cime in inverno.

La Via Exocet sul Cerro Standhardt era stata aperta dagli statunitensi Jim Bridwell, Greg Smith e Jay Smith nel 1988. Due anni più tardi è stata salita per la prima volta in inverno dagli austriaci Tommy Bonapace e Toni Ponholzer, mentre la prima solitaria è stata effettuata nel 2010 dall’alpinista statunitense Colin Haley.

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