2° Memorial Tito Traversa ad Ivrea

Il 13 e 14 giugno ad Ivrea, nell’ambito della manifestazione Eporedia Active Days, si terrà la seconda edizione del Memorial Tito Traversa, la gara boulder delle categorie Under 14, Under 12, Under 10 e Open per ricordare Tito Traversa.

Sabato 13 e domenica 14 giungo si svolgerà ad Ivrea (Torino) la seconda edizione della Boulder Cup dedicata al talentuoso atleta Tito Traversa, il 12 enne climber scomparso dopo un tragico incidente nella falesia di Orpierre in Francia nel luglio 2013.

Il Memorial si inserisce nell’Eporedia Active Days, la manifestazione che coinvolge diversi sport outdoor ad Ivrea come per esempio la mountain bike, il kayak, la corsa, parkour, slacklining – ciascuna delle quali si articola in competizioni e in sessioni di prova, nonché eventi collaterali di intrattenimento. Gli EAD hanno come vocazione quella di diffondere, soprattutto fra i più giovani, i valori della leale competizione, unita al divertimento e al benessere; si caratterizzano per essere una festa dello sport, dedicata ad atleti, semplici appassionati, famiglie ed a tutti coloro che vogliono trascorrere un week end di svago all’aria aperta.

Per quanto riguarda la gara boulder, questa è divisa in diverse categorie, Open, Under 14, Under 12 e Under 10 sui boulder tracciati da Fabrizio Droetto, Matteo Gambaro, Daniele Martina e Andrea Tosi. Ovviamente tutti sono invitati a partecipare!

Le iscrizioni per la gara Open, che si terrà sabato, vengono accettate anche a gara già in corso, mentre il termine delle iscrizioni per le gare Under 14, 12 e 10, che si terranno domenica 14 giungo, scadono sabato sera alle ore 19.00. E’ obbligatorio un certificato medico, anche non agonistico. Per il regolamento e le iscrizioni online cliccate qui.

PROGRAMMA
Sabato 13
Open maschile e femminile
16.00 -19.00 Qualifiche
20.30 Finali
21.30 Premiazioni

Domenica 14
U14, U12, U10 maschile e femminile
09.45 – 11.00 Qualifiche U10F e U10M
11.10 – 12.25 Qualifiche U12F e U12M
12.35 – 13.50 Qualifiche U14F e U14M
14.30 – 17.20 Finali U10, U12, U14
17.30 Premiazioni

* In caso di maltempo le gare si svolgeranno presso la palestra K3, sita in Ivrea, Via Torino 3
** Il programma e gli orari potranno subire variazioni in base al numero degli atleti e ad eventuali spareggi.

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Paraclimbing Cup 2014: una grande gara per tutti

Si è appena conclusa, sugli enormi strapiombi del Climbing Stadium, la tappa italiana della Coppa del Mondo Paraclimbing.

Come da tre anni da questa parte, ovvero da quando Arco nel 2011 ha ospitato il primo Campionato del Mondo di questa disciplina, nel parterre del Climbing Stadium è calato il silenzio totale e tutti gli spettatori hanno osservato con stupore e rispetto mentre gli atleti del Paraclimbing dimostravano sopratutto una cosa: di essere in primis atleti di altissimo livello. Mettendo tutta la loro passione, grinta e talento per arrivare al top, nonostante le oggettive difficoltà di ciascuno.

25 atleti hanno quindi lottato in due manche, la prima questa mattina e la seconda questo primo pomeriggio, per stilare una classifica che ha sì dei vincitori, ma che in realtà non è altro che un lungo elenco di persone che hanno una travolgente passione in comune: lo sport arrampicata. Citiamo il russo Vladimir Netsvetaev – Dolgalev, lo sloveno Urko Carmona Barandiaran e la slovena Tanja Glusic, i tre atleti che hanno vinto le categorie più agguerrite. Vale la pena citare poi tuuto il team Italia che ha vinto nelle rispettive categorie con Giulio Cevenini, Matteo Stefani, Martina Pellandra, Maria Ligorio e Silene Garbaccio Bogin. Ma è chiaro che senza tutti ma proprio tutti i paraclimber, la giornata di oggi non sarebbe stata una così bella dimostrazione di sport!

ROCK MASTER 2014
– Gallery Rock Master 2014
– Classifiche International Open Lead 

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Catteissard, Neverending Wall: Perseverare è umano.

Neverending Wall la nuova falesia d’arrampicata a Catteissard, in Valle di Susa, presentata da Andrea Giorda.

Se state andando a Ceuse o a Buoux avete tempo e benzina schiacciate sull’acceleratore e non fermatevi a Bussoleno in Val di Susa. Se invece vi ostinate a voler scalare a tutti i costi in Valle o non avete alternative, c’è una nuova falesia un po’ alpinistica la definirei, quasi un ossimoro, che potrebbe stupirvi per la sua particolarità. Tiri dai trenta ai 40 metri assolutamente naturali, senza scavi o prese incollate dal 6b+ all’8a+, su di un muro che sembra non finire mai, il Neverending Wall del Catteissard.

Ma facciamo un salto indietro, in particolare da quando il mio main sponsor non è stato più il mio datore di lavoro ma l’INPS! Chi non sogna di andare in pensione e dedicarsi a quello che gli piace?Fermi con l’invidia! è un peccato capitale anche se come tutti i peccati molto umano… sta di fatto che di andare al bar a giocare a carte o a commentare i cantieri stradali non mi andava e se proprio doveva essere un cantiere, volevo che fosse tutto mio! Abitando a Rivoli, ed essendo da pochissimo divenuto padre di Phuc, un meraviglioso bimbo vietnamita di nove anni, il mio raggio d’azione era piuttosto limitato. Il mio cantiere doveva essere in Val di Susa a tiro della scuola di Phuc.

Il vecchio Ciaparat di turno, perché c’è sempre nelle storie qualcuno che sentenzia, ha certezze assolute, mi disse che in Valle tutto era stato fatto. Io sommessamente credo da tempo che più che la roccia manchino le idee e l’iniziativa. Pur con un lavoro molto impegnativo e tempo risicato, in questi anni ho aperto vie interessanti senza andar lontano, dal Gran Paradiso al Monte Bianco, esattamente come facevo negli anni ’70 e ’80 e molte altre ne ho in cantiere.

I giovani sono la speranza, sono bravissimi a scalare, ma quanti hanno voglia di sbattersi in avventure dall’esito incerto? I vecchi, e io aimè ormai appartengo alla categoria (scalo dal 1971, 45 anni), hanno due strade: trasformarsi in tromboni asmatici che ricordano quanto erano bravi loro (!) o provare a fare sperando di tirarsi dietro qualcuno.

Certo l’inizio non è stato facile, pur essendo uno dei posti dov’è nata l’arrampicata sportiva con Patrick Berhault e Marco Bernardi per fare due nomi, di roccia in Val di Susa c’è n’è poca e il calcare è di tipo friabile, scalabile solo a prezzo di pulizie estenuanti.

Io ricordo i primi passi alla falesia delle Striature Nere, non era certo la roccia del Finale. Gian Carlo Grassi, alpinista pur avvezzo ai marcioni, nella sua guida della Valle di Susa e Sangone del marzo 1980 così descrive le Striature Nere “Comunque in genere la roccia non è sempre solida, alcuni settori presentano mucchi di blocchi sovrapposti pronti a cedere al primo tentativo di passaggio.” Confermo che c’erano pile di piatti inframmezzate da terra, piuttosto inquietanti eppure oggi alle Strie si scala senza pensiero, fin troppo forse, se si dà un’occhiata in alto.

Ho passato giornate intere alla ricerca di una struttura che mi piacesse, quando ormai pensavo di darla vinta al Ciaparat mi è tornato in mente che un giorno in cui era tutto fradicio, Fabrizio Ferrari mi propose la Parete del Catteissard che conoscevo, avendo scalato la Via del Risveglio a fine anni ’70 e il Perdono di Satana con Maurizio Oviglia più recentemente. Scalammo sulle prime lunghezze delle vie come fossero monotiri, cosa che Franco Salino grande personaggio del posto faceva da sempre. Tornai con amici fidati, Marco Croce e Fabrizio Pennicino detto Penna, questa volta Marco aveva portato oltre all’immancabile caffettiera da sei, il trapano e mettendo insieme il materiale nacque nel 2014 Roka e Moka.

Per un anno fu un episodio dimenticato, ma nell’autunno 2015, con Aldo Tirabeni, uno dei chiodatori di Bosco in Valle Orco, rimisi le mani su questa via per liberarla dopo una ulteriore pulizia. Si favoleggiava il 7c, ma le poche volte che ne ho fatti, nella mia breve carriera di falesista cinquantenne, ho sentito il coro degli angeli e c’era l’aurora boreale, niente di tutto questo, mi sembrò un 7b bello intenso o un onesto 7b+. Ma il grado importava poco, quello che mi sembrava più interessante era che ero tutto intero, non mi ero lapidato ed era un gran bel tiro.

Intendiamoci, la bellezza è relativa e soprattutto soggettiva, chi è abituato a due bracciate stile resina non si riconoscerà in questa scalata e questo tiro. Chi invece apprezza tecnica e resistenza, in un luogo naturale, non rimarrà deluso da questi 36 metri di tacche e passaggi da studiare.

Una ulteriore ispezione alla parete mi convinse che avevo trovato quello che cercavo. Certo valigie, frigoriferi e anche armadi a quattro ante in bilico mi facevano pensare ad un duro lavoro di disgaggio, ma sapevo che sotto, sotto… molto sotto, la roccia era scalabile e di soddisfazione. Oltre a ciò il posto era magnifico, un angolo che mi ricordava vagamente le grandi vie delle Dolomiti, esposto in pieno sud, un’oasi xerotermica ricca di fauna selvatica e rare fioriture di orchidee. La Valle di Susa tanto è devastata nel fondovalle quanto è bella appena ci si alza e si imboccano i sentieri. A volte in pieno inverno scalare è più piacevole che in Liguria, il clima alpino è più secco e non risente dell’umidità del mare.

E’ nato così nella mia testa il progetto Neverending Wall, che prevedeva pochi tiri che sfruttassero la lunghezza di questa parete con pochi riposi, ognuno con un senso e un’anima, la quantità non sempre paga. L’imperativo è stato chiodare leggendo la roccia nella forma e nella qualità, evitando facili soluzioni con scavi e prese incollate. Ho aperto molte vie, ma non ho mai chiodato una falesia non sapevo dove iniziare, è una cosa diversa, si chioda dall’alto e ci va un progetto complessivo anche di stile.

Mi sono sempre piaciuti i tiri e gli scritti di Marco Pukli, nella mia ignoranza mi sono ispirato a questo chiodatore che opera in Liguria, per cui ogni tiro non è un numero ma una creazione pensata. Quanto al materiale non volevo condizionamenti e l’ho messo di tasca mia, è stato un bell’impegno ma quando pagavo mi veniva in mente un vecchio aneddoto, avevo 20 anni ed ero nel negozio di Volpe Sport a Porta Palazzo a Torino, la caverna di Alì Babà per me e un vecchio che sarà stato all’ora più giovane di me ora, aveva speso settecentomila lire in attrezzature.

Io che potevo permettermi sì e no una fettuccia ero abbacinato, lui mi guardò e capì il mio stupore e mi disse in piemontese “Bocia le meisine custu ad pì”. Traduzione: “Ragazzo le medicine costano di più!“ . Allora non capii, oggi è un detto che quando mia moglie mi brontola faccio mio.

Il lavoro al Catteissard in questo autunno inverno è proseguito spesso da solo, ed essere un alpinista di stampo Trad mi ha aiutato. Mettere le soste su una parete alta 200 metri un po’ marcia non è stato comunque uno scherzo, con calate e traversi fino a quaranta metri utilizzando anche nut e cliff. Dove non si poteva, con il trapano addosso ho messo qualche chiodo dal basso.

Promuovo da sempre l’idea dell’avventura dietro casa e in questo caso non è di certo mancata. Devo dire che ho avuto i miei bei momenti di demotivazione, coperto di terra e scorpioni mi chiedevo che cavolo stavo facendo, chi mai sarebbe venuto a scalare in questo posto ?. Mi veniva in mente un Film di Werner Herzog, Fitzcarraldo, dove il tenebroso Klaus Kinsky vuole far transitare una enorme nave su una collina in piena Amazzonia, gli indios assoldati sprofondano con le funi nel fango tirandola su a braccia mentre lui spiritato diffonde arie d’Opera. Un’idea folle.

Ma tutto è bene quel che finisce bene e così ho coinvolto diversi amici, primo fra tutti Maurizio Oviglia che, prima che se ne rendesse conto, ho trascinato in questo posto e si è trovato con un trapano in mano, non potevo farmelo scappare in una breve visita. Vi lascio immaginare la sua faccia, lui abituato alla roccia della Sardegna! Ma è stato al gioco, ha capito il mio sforzo e ne è uscito un tiro molto bello, Autobiographie, e soprattutto ho ricevuto consigli preziosi per come fare soste e sistemare ancoraggi.

Poi volevo coinvolgere ragazzi giovani ed è stata la volta di Fabio Ventre di 19 anni. Dopo una rocambolesca calata dalla vetta gli ho lasciato volentieri spazio per chiodare un tiro, ci siamo confrontati ed è venuto fuori Giovani Talenti. Fabio è una bella promessa per l’alpinismo locale, è bravo a scalare tanto che il tiro se lo è liberato (7b+) e poi è uno che fa anche quattro ore di marcia per cercare luoghi inviolati, una rarità.

Dai giovani ai vecchi leoni, Ugo Manera 76 anni mai pago di novità mi ha dato un grande aiuto su diverse vie, tra cui Troppo vecchio per morire. Il nome non è riferito a lui ma a me! All’ennesima discussione con mia moglie Sabrina sul fatto che, o prima o poi, mi sarei tirato un frigorifero addosso, Phuc, il mio bambino, se ne è uscito con questa frase nonsense “Papà sei troppo vecchio per morire” e a pensarci bene forse un senso ce l’ha.

Restava ancora un tiro alla mai portata, e in questo clima casareccio non poteva che essere Mamma Sa, Sabrina, mia moglie. Espresse un desiderio “a la carte”, non doveva essere più di 7a. Al primo giro Mamma Sa mi ha sparato via come un tappo di champagne, solo pulito e rinchiodato in modo più razionale si è lasciato domare, ma il grado è diventato 7a+, di più non avrei potuto perché era stato stabilito a tavolino. Verrà mai a farlo? Chissà, per ora qui non vuol metterci piede fino a che le vie non sono rodate.

Il lieto fine di questa storia non lo potevo immaginare nemmeno io. Si è sparsa la voce che chiodavo e con il passaparola è arrivata anche tanta gente anche da fuori, segno che questo stile a qualcuno piaceva.

Rimanevano quindi ancora due belle linee evidenti, che richiedevano una marcia in più. Da poco era tornato in zona Carlo Giuliberti un giovane completo, come ne abbiamo pochi. E’ forte sia in falesia che in montagna e mentre scalava Troppo vecchio per morire, un 7c bello boulderoso, gli ho buttato l’idea di provare a chiodare la linea più strapiombante. Ha preso con entusiasmo il compito e ne ha tirato fuori Cateiss Hard 8a+ e trentacinque metri di lunghezza tutti naturali!

L’altra linea l’ho iniziata a chiodare aiutato da Aldo, fidato socio del lunedì, quaranta metri esatti. Dopo un avvio tranquillo, una fessura sbilanciante fa subito selezione, segue una pancia con bei buchi poi 20 metri di muro bianco, spettacolare, a tacche, selettivo, un vero neverending wall!

Se Cateiss Hard lo vedevo maschile, questo mi sembrava femminile ma chi poteva portarlo a casa? Donne rustiche e forti sono quasi tutte straniere, ma una ce l’abbiamo anche noi, Federica Mingolla. Fede l’avevo vista su roccia agli inizi a Campambiardo, lei provava Nemesis e io l’avevo appena chiusa. La mia breve storia da falesista è iniziata intorno ai 50 anni ed è l’unica volta che ho ancora potuto dirle la mia metode. Poi lei ha preso il volo e adesso a 21 anni è ben più che una promessa. Mia moglie mi ha chiesto se invitavo la Mingolla anche perché è carina… ho retto serio all’assalto e ne ho elencato ad occhi bassi le indubbie doti tecniche… vabbè.

Federica accetta volentieri l’invito, al tiro ho già dato un nome emblematico che riassume questa storia, Perseverare è umano. E’ anche il titolo di un bellissimo libro di Pietro Trabucchi, psicologo dello sport. In due giri ne viene a capo, trova la metode per il passo chiave e gli ultimi metri li centellina riprendendo le forze con intelligenza. Mi immedesimo e resto col fiato sospeso fino all’ultimo.

E’ il 27 gennaio 2016, sembra maggio, l’avventura che mi ha travolto questi in mesi è terminata, i tiri di Carlo e di Federica sono andati oltre a quanto mi immaginavo. Ma devo dire grazie anche a tutti quelli che mi hanno aiutato a fare i lavori meno gratificanti ma indispensabili.
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Grazie a Marco Croce per la geniale Bacheca, quasi una seconda casa che temo pagherà l’IMU a Bussoleno. Marco faceva gli Yacth per emiri all’Azimut di Avigliana e mi assicura che le cerniere delle porte vengono da li!

Grazie a Franco Salino, antico compagno di Grassi e Marco Bernardi, che mi ha incoraggiato e seguito nei momenti più difficili e infine grazie al mio amico Mario Ogliengo specialista nel far arrabbiare Grassi quando gli soffiava le vie in Valle. Mario è venuto apposta da Chamonix dove fa la guida per iniziare un nuovo settore che si chiamerà Profondo Rosso e il primo tiro, già abbozzato, siamo concordi a chiamarlo il Ciaparat! Nella vita c’è sempre un Ciaparat che già sa tutto e ci vuole fermare.

Andrea Giorda

P.S. Probabilmente con e Fede e Carlo di questa avventura faremo un piccolo video, a presto.

SCHEDA: la falesia Neverending Wall – Parete Rossa di Catteissard

Coppa del Mondo Lead Kranj – Live

Il 16 novembre dalle 17.00 – 19.00 a Kranj in Slovenia l’ultima tappa della Coppa del Mondo Lead 2014.

Iniziano oggi alle 17:00 a Kranj in Slovenia le finali dell’ultima tappa
della Coppa del Mondo Lead 2014. Già vinta dall’austriaco Jakob Schubert e dalla sud coreana Jain Kim, come sempre Kranj sarà comunque decisiva nell’assegnare le altre medaglie e per prendere gli ultimi punti disponibile per la classifica generale.
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Finalisti – ordine di partenza

Maschile

1 Domen Skofic 1994 SLO
2 Stefano Ghisolfi 1993 ITA
3 Jakob Schubert 1990 AUT
4 Ramón Julian Puigblanque 1981 ESP
5 Romain Desgranges 1982 FRA
6 Sean Mccoll 1987 CAN
7 Sachi Amma 1989 JPN
8 Adam Ondra 1993 CZE

Femminile
1 Katharina Posch 1994 AUT
2 Maja Vidmar 1985 SLO
3 Anak Verhoeven 1996 BEL
4 Jessica Pilz 1996 AUT
5 Yuka Kobayashi 1987 JPN
6 Akiyo Noguchi 1989 JPN
7 Jain Kim 1988 KOR
8 Mina Markovic 1987 SLO

Generazioni a Confronto, nuova via in artificiale per Pezzoli e Fantini sul Sasso di Fontana Mora

Angelo Fantini e Diego Pezzoli hanno aperto la via d’arrampicata in artificiale Generazioni a Confronto (IV, 5c, A1/A2), Sasso di Fontana Mora, BG.

3 nuovi, bei tiri sul Sasso di Fontanta Mora, la parete sopra il paese di Gandellino nel bergamasco, aperti durante tre giorni di scalata lo scorso settembre da Angelo Fantini e Diego Pezzoli. Particolarità: la via è stata aperta in artificiale e Fantini, che ha aperto il primo tiro “scalandolo con maestria”, ha 73 anni. Niente male. Per Pezzoli è stata un’esperienza indimenticabile, una sorta di ritorno al futuro in cui per aprire “Generazioni a Confronto” lui ha vestito i panni del giovane Marty McFly, mentre Fantini era il pazzo inventore Doc Brown. Ma non vogliamo svelare troppo, lasciamo a Pezzoli il compito di spiegare la trama.

GENERAZIONI A CONFRONTO di Diego Pezzoli

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“Diego, imposta il tempo di destinazione e aziona i circuiti spaziotemporali!
Raggiungi la potenza di uno virgola ventuno gigowatt, necessari ad attivare il condensatore di flusso…questa volta ti porto io indietro nel tempo!!!”
Io, Diego, nei panni di Marty McFly in “ Ritorno al futuro “, e il mio compagno, Angelo, un bizzarro anziano dai capelli bianchi, 73 anni su carta e fisico di un quarant’enne, nei panni del dottor Emmett Brown.

Data: 20 settembre
Angelo passa a prendermi a Clusone, alle 7.00 di mattina, con la DeLorean, che, per non dare nell’occhio camufferemo in Panda anni 90, e ci dirigiamo, a velocità “smodata”, verso il luogo impostato sul display: Gandellino.
Il cielo è tutto coperto e minaccia di piovere. Non importa. Angelo dice di salire e, abbandonata la macchina, ci incamminiamo verso il “sasso” di Fontana Mora. Serviranno quasi un paio di ore per raggiungerlo dato il peso che portiamo sulle spalle: ben 20 kg a testa.
Io, con il mio ormai fedele saccone Krukonogi, colmo fino a esplodere, e Angelo con uno zaino anni cinquanta che, se potesse parlare e raccontare le esperienze trascorse, farebbe invidia al migliore degli alpinisti.
Al loro interno attrezzatura che accomuna più epoche, passando dal micro chiodo sottilissimo a quello lungo venti centimetri per le “toppe” d’erba, dallo Sky hook al piombo, dai friend agli spit.

Raggiungiamo quindi la parete e troviamo un posto dove poterci cambiare comodamente. Il cielo sempre più nero. La linea dove salire l’abbiamo già individuata, una serie di bombè, strapiombanti ma compatti, sulla sinistra dell’inquietante anfiteatro giallo centrale.
“Diego, fammi sicura a modo mio, ma non con il grigri…e usiamo due corde!”
“Si Angelo, mostrami come fare…”
E’ così che pianta due chiodi alla base, fa un giro strano con le corde e me le blocca in vita con un nodo machard.
“Ora sei libero di fare foto o mangiarti un panino” ribatte Angelo.

Inizia così la salita, con un piccolo risalto di qualche metro di zoccolo erboso, e attacca la bellissima sezione di roccia. Lo osservo attentamente: indossa un paio di pantaloni e felpa della tuta, un imbrago intero di fettuccia larga, un casco bianco dei primi modelli usciti, scarponi che hanno fatto l’alpinismo e due staffe di cordini con gradini in metallo. E’ come rivedere delle foto dell’epoca di Walter Bonatti, un bellissimo ritorno al passato. Mentre sale, concentrato sul da farsi, mi racconta diversi episodi divertenti che gli sono capitati, come quella volta sul Tredenus, Gruppo Adamello, durante la prima ripetizione della Via Solinas con Battista Pezzini e Fedele Corrent, che non aveva mai usato le staffe.
“Sento Fedele che borbotta, alzo lo sguardo e lo vedo che, mentre carica il peso sulla staffa, abbassa la testa e così per più volte…in sostanza invece di caricare la staffa agganciata alla parete stava caricando quella infilata nel collo”

Continuo a esaminarlo diligentemente. Sfila il martello dall’imbrago, rimuove dal portamateriali (fettuccia al collo) un piccolo chiodino e, con movimenti delicati ma precisi, lo inserisce negli impercettibili buchi offerti dalla parete, incrocia le gambe sulle staffe e si mette in perfetto equilibrio. Recupera ora questo strumento a lui poco conosciuto, uno Sky Hook, non chiede spiegazioni e lo usa per vincere il traverso e piantare un altro piccolo chiodo. Danza su quelle staffe, non indugia e si muove agilmente.
Il tempo è scandito dal battere del suo martello e dalla pioggia, che ora cade incessante, inciampa sui pendii erbosi, medita un salto, ma perseguita a cadere.

Per fortuna, il mio compagno di avventura ha portato un ombrello che mi garantisce una permanenza asciutta alla base, mentre gli faccio sicura. Lui, invece, è a riparo sotto i pronunciati bombè superiori. Angelo alterna un chiodo buono, uno brutto di progressione, uno medio, un passaggio su Sky Hook e così via fino a superare la prima parte leggermente strapiombante.
“Tinn!” Il piccolo Sky Hook fuoriesce dal buchetto svaso. Ancora in equilibrio sulle staffe, rotea il corpo di mezzo giro, rispetto all’asse verticale, e con un colpo di addominali ritorna in posizione.
“comincia l’avventura del sig. Bonaventura.. fiu … fiu …”
Intona a pieni polmoni una piacevole melodia e fischietta a squarciagola, segno che procede bene, segno che il timore o l’ansia per la salita non lo toccano minimamente. Tutto a posto, ma non ne avevo di dubbi! Un traverso di un paio di metri lo separano dalla prima futura sosta. Piantato un buon chiodo, si sposta a sinistra: cliff, cliff, chiodo, chiodo.
“Diego, sosta fatta! Dammi un paio di minuti e puoi raggiungermi..”

Indossate le staffe e agganciate le jumar, comincia il mio tragitto verticale. Supero lo zoccolo erboso, raggiungo la prima protezione, un ottimo chiodo, e lo estraggo con qualche colpo verso l’esterno.
“Vedrai, con il prossimo non ti occorrerà il martello, mi urla Angelo”
Come non detto, appena lo afferro con le mani, lo scuoto un po’ a destra e a sinistra e lo recupero comodamente.
Dopo una quindicina di minuti, sono ad un paio di metri da Angelo, sull’ultimo chiodo. Nessun’ altra protezione ci divide, mi tocca perciò procedere come se fossi da primo, e dopo due passaggi su cliff appendermi in sosta.
Angelo racconta un altro divertente aneddoto:
“Un sabato pomeriggio arrivano due milanesi sul piazzale del rifugio Albani, chiedono al rifugista: è questo il rifugio Galbani? La risposta è diretta: “Se gorgonzola”.”

Continuo io. Ricordo che dalla sosta ho infilato, in uno splendido buco, il friend viola della Totem, non a caso è anche il mio colore preferito, e da lì sono andato a prendere, dopo una cliffata, una fessura diedro ancora a friend. E’ però tardi, il piano della giornata prevede di scendere, tornare il giorno seguente con i sacchi a pelo e le cibarie, e dedicare alla scalata anche il lunedì. Faccio una sosta provvisoria a chiodi e mi calo. Mentre scendiamo, scarichi di materiale, ma colmi di euforia ed entusiasmo per la nostra avventura, discutiamo sulla differenza tra l’artificiale moderno e vecchio stile. Angelo mi racconta di come avrebbe avuto vita facile se avesse annoverato, tra il materiale del tempo, friend come i Totem o i splendidi Bird Beak, concorda con me che sono la miglior variante di chiodo inventata. Giunti alla macchina torniamo, perciò, al presente e rimandiamo all’indomani il nostro incontro. Sempre le 7:00 l’orario di partenza.

Data: 21 settembre
Il cielo, anche oggi, alterna nuvole nere a sprazzi di azzurro. Ripercorriamo i nostri passi e ci troviamo al punto di ieri: metto un friend, un chiodo e non vedo più nulla.
“Angelo, mo’ che ffaccio?”
“non riesci a mettere dei chiodini? Buchi, ce ne sono?”
“ce n’è uno ma è svaso…il cliff non tiene! Aspetta…ho un piombo!”
“che hai?”
“si, metto un piombo! Mi serve solo per raggiungere una buona tacca dove cliffare”
“bene, io sono comodo”
Ha solo cominciato a piovigginare, a me non tocca però, beati strapiombi!
“stong! stong! stong!”
Lo carico con cautela e, alzandomi a dovere, raggiungo la bella tacca dalla quale, mio malgrado, non vedo ancora alternative. Scruto un po’ lì attorno e decido per una sicurezza concreta, l’unico spit non di sosta. Non ho voluto mettere rivetti, in quanto, con questa protezione, lascio aperta la possibilità di una futura libera e impedisco invece a me stesso di farmela nelle braghe. Si susseguono divertenti, ma sicuri passi, su friend, pecker, chiodi e rurp fino alla sosta..
“Vieni pure! la corda l’ho bloccata, puoi risalire!”

Ormai è esperto Angelo, per raggiungere la prima sosta ha sperimentato per la prima volta le jumar. Infatti, lui è sempre stato un uomo da prusik per le risalite. Parte a schiodare, toglie con tranquillità i friend e chiodi, e, quando raggiunge il piombo, rimane esterrefatto dalla sua tenuta.
“Diego, questo tiene un sacco, non l’avrei mai detto!”

Fatica un po’ a togliere i Bird Beak, esaltandone ancora la funzione, e mi raggiunge in sosta. Siamo avvolti dalle nebbie, pioviggina, ma non ci facciamo problemi e parto subito per il terzo tiro. Dopo un piccolo traverso su buoni chiodi, mi alzo di qualche metro e riattraverso ancora a destra per andare a prendere una bella fessura, al termine della quale costruisco una provvisoria sosta e ci caliamo per trascorrere la notte. Ceniamo abbondantemente, ringraziando la Giusi (moglie di Angelo) per la minuziosa preparazione delle cibarie, e ci corichiamo nei nostri sacchi a pelo. Io, con un sacco a pelo imbottito in piuma d’oca, con un limite di temperatura estremo di – 26, e un materassino gonfiabile modello da mare. Mi ci inserisco in mutande e maglietta.
Angelo, con un sacco a pelo in piuma (non si sa di cosa) con un limite di temperatura non pervenuto e un sacco dello sporco come isolante per il terreno. Ci si inserisce completamente vestito.

Data: 22 settembre
Alle sei e mezza circa suona la sveglia, un crollo di sassi nell’anfiteatro centrale, a venti metri da noi, ci desta dal mondo dei sogni.
Colazione veloce e via, a risalire le corde nel vuoto, che fatica. Io salgo alla sosta provvisoria e Angelo a quella ufficiale, una quindicina di metri sotto di me.

Navigo ora per una compatta placca, che ammette buoni chiodi e pecker, per poi attrezzare a friend una bella e grossa fessura, che guarda all’ingiù; alla fine di essa altri tre metri di placca e decido di sostare. Una volta raggiuntomi, Angelo, mi lascia ancora il comando e salgo per una verticale, e non piacevole arrampicata, tra sassi instabili ed erba. Sosto a tre chiodi. Mentre si avvicina, mi racconta un episodio della forte guida alpina di Colere Placido Piantoni.

“stava portando un cliente su una via facile della Presolana, dove la roccia è intervallata da ciuffi d’erba. Il cliente, trovandosi in difficoltà, prega i santi e la madonna, ma ciò nonostante la progressione è problematica. Il Placido spazientito grida al cliente: “lascia perdere i santi e la madonna e attaccati alla “sespega” (ciuffi d’erba).”

Insieme osserviamo i tiri superiori, ci sembrano interessanti. Siamo sostanzialmente a metà parete, ma è giunto, di nuovo, il momento di calarci; attraversiamo perciò a sinistra, per cenge erbose e verticali, guidati dalla maestria di Angelo che si muove come un camoscio, trascinando me, che invece sembro un cinghiale che arranca nel fango, lungo questo impervio terreno.
Ci caliamo infine da un alberello per una trentina di metri.
Scendiamo, con l’idea di tornare l’anno prossimo, ma non passano tre settimane che siamo ancora li, preoccupati su come raggiungere la sosta a metà parete.

Data: 18/19 ottobre
Dall’alto della sua esperienza, Angelo, porta con sé una piccozza e io gli presto i miei fi-fi rock russi (simili ad una picca). Come se stesse arrampicando su ghiaccio, affonda le picche nell’erba, aggancia i piedi ai pochi appigli stabili e si muove leggero e sciolto fino all’alberello di calata. Un esposto traverso ci riporta a dove eravamo arrivati.
Mi vesto, di tutto il materiale che ritengo potrà essermi utile, ed inizio una sezione su roccia traballante e instabile. Pianto dei Bird Beak, che allargano le fessure man mano li affondo all’interno, raggiungo una piccola cengia e salgo un diedro, tecnico da chiodare, ma discretamente proteggibile. Alla fine di esso, mi accorgo che la parte sopra assomiglia alla prima sezione.
Rimango appeso almeno venti minuti.
“Angelo, ho paura che sopra sia troppo marcia e non ne valga la pena!”
“Lì a sinistra? Non riesci a passare?”
“Potrei seguire il diedro bagnato per un paio di metri ma, alla fine, andrei a scontrarmi ancora con la roccia friabile, rischiando di fartela piombare addosso”
Mi alzo ancora, con un passaggio su un Bird Beak.
“Mi spiace Angelo, temo che dovremo fermarci! Abbiamo creato tre bellissimi tiri iniziali e già il quarto non mi faceva impazzire…secondo me, se saliamo oltre, va a finire che facciamo una via di merda!”
“Diego, vai tranquillo, cominciavo a sentirne l’odore qua in basso! Aahahah!”
Non sembra preoccupato Angelo, io, invece, sono dispiaciuto, perché stavo vivendo una bellissima esperienza con una fantastica persona.
“Finisce l’avventura del Sig. Bonaventura… fiu fiu fiu” Fischietta Angelo.

Ci siamo calati, con una doppia di sessanta metri dal terzo tiro, dove abbiamo deciso di finire la via. Generazioni a confronto. Così l’abbiamo chiamata, così l’abbiamo concepita e vissuta. Due persone di differente età unite dallo stessa ambizione di ricerca, di nuovo, di diverso.

Un ringraziamento per il loro prezioso contributo a: Eleonora Delnevo, Sara Ongaro

Si ringrazia inoltre in modo speciale: Krukonogi (www.krukonogi.com) – Rab (www.rab.uk.com) – Totemcams (www.totemcams.com) – Zamberlan (www.zamberlan.com) – Grande Grimpe (www.grandegrimpe.it) – SistemaCasa (www.sistemacasaweb.it)

GORE-TEX Experience Tour: con Edurne Pasaban sulle orme di Lucy Walker fino in vetta al Balmhorn

Fino al 31 dicembre 2014 sono aperte le iscrizioni online per candidarsi a rivivere un’avventura che ha fatto la storia dell’alpinismo: insieme ad Edurne Pasaban la salita del Balmhorn (3698m), Alpi Bernesi, seguendo le orme di Lucy Walker, un’icona dell’alpinismo che ne compì la prima salita nel 1864.

Scalare in compagnia di Edurne Pasaban, l’alpinista spagnola che ha salito tutte le 14 cime più alte della terra? Da oggi è possibile, grazie al nuovo progetto del GORE-TEX® Experience Tour (GET) “History Sessions”, che il prossimo giugno 2015 regalerà a due fortunati vincitori un’incredibile avventura sulle Alpi Bernesi per rivivere la famosa scalata del Balmhorn (3698 m) compiuta da Lucy Walker – autentico mito dell’alpinismo – nel 1864. Per candidarsi al progetto è necessario, e basta, registrarsi sul sito www.experience-tour.com entro il 31 dicembre.

Sono passati esattamente 150 anni da quando Lucy Walker ha salito Balmhorn per la cresta SO, la bella cima di 3698m nel cuore delle Alpi Bernesi insieme a suo padre Frank Walker, suo fratello Horace Walker e le guide Jakob Anderegg e Melchior Anderegg lungo il Zackengrat. Una salita epocale, per la quale la Walker ha dovuto affrontare non soltanto le difficoltà oggettive della salita, ma anche i suoi problemi di salute e anche una visione dell’epoca in cui era dato per scontato che le donne rimanessero a casa invece di scalare montagne. Ma la Walker non era certo una da stare seduta a bere tè con le sue amiche: dopo Balmhorn ha salito il Wetterhorn, il Lyskamm e il Piz Bernina, mentre nel 1871 è stata la prima donna a mettere piede sulla cima del Cervino.

La vita di Lucy Walker era fatta di sogni, sempre più alti, un po’ come quella della spagnola Edurne Pasaban, un’altra donna “tosta” che nel corso degli ultimi anni è diventata una delle alpiniste e himalayiste più famose dei nostri tempi. A giugno 2015 sarà possibile condividere con l’alpinista basca la salita del Balmhorn seguendo le orme della Walker.

Per candidarsi al GORE-TEX® Experience Tour è necessario registrarsi sul sito www.experience-tour.com entro il 31 dicembre. Non si salirà in cima con scarpe di cuoio chiodate, una gonna a pieghe e un cappello da signora, ma in cima Edurne Pasaban porterà torta e spumante. Per celebrare il presente, il passato e il futuro. Proprio come la Walker quel 21 luglio 1864.

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Info – iscrizioni: http://www.experience-tour.com

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Iker Pou libera Big Men 9a+ a Maiorca

Il 38enne climber basco Iker Pou ha liberato Big Men 9a+ nella falesia Fraguel a Maiorca, Spagna.

Dopo il suo grande 8c a-vista a Maiorca a fine marzo, arriva ora la notizia dalle isole Baleari di un’altra salita importante salita di Iker Pou: la prima salita di Big Men nella falesia Fraguel. Secondo il 38enne climber si tratta di un possibile 9a+ e se fosse confermato, sarebbe la terza volta che libera una via di queste difficoltà dopo Demencia Senil, aperta nel 2010, e Nit de Bruixes aperta nel 2012, entrambe a Margalef.

La spettacolare nuova via Big Men è in realtà un vecchio progetto, chiodato 20 anni fa da Carlos Raimundo. Ricordiamo che Iker è polivalente come pochi: dopo la terza salita di Action Direct in Frankenjura nel 2000 ha sempre arrampicato ai massimi livelli in falesia, ma anche in montagna dove ha salito alcune delle big wall più impegnativi in assoluto dove spiccano Orbayu sul Naranjo de Bulnes.

26/02/2010 – Iker Pou
Iker Pou, uno dei più forti rappresentanti dell’arrampicata mondiale, spiega in quest’intervista i suoi pensieri verticali dopo la recente ripetizione di Demencia Senil 9a+ a Margalef.

SCHEDA: la falesia Fraguel

Falesia Family San Martino, ad Arco la nuova parete per l’arrampicata dedicata alle famiglie

Ad Arco (Garda Trentino) è stata inaugurata la nuova Falesia Family San Martino. Situata nei pressi della storica falesia di Massone, questa nuova parete d’arrampicata è stata attrezzata specificamente per le famiglie ed offre 17 vie dal 3a al 6b.

Arco ed il Garda Trentino si arricchiscono di una nuova falesia. Nell’anno dei Mondiali Giovanili non poteva che essere una falesia speciale dedicata alle famiglie ed ai più piccoli.

La Falesia Family San Martino è stata attrezzata e valorizzata nel contesto del progetto Outdoor Park Garda Trentino, un piano di sviluppo pluriennale dell’offerta turistica outdoor che vede la partecipazione delle sei Amministrazioni Comunali del Garda Trentino, della Comunità di Valle Alto Garda e Ledro, del distretto Forestale, della SAT, sotto la regia di Ingarda, Azienda di Promozione Turistica.

Sono parte del progetto Outdoor Park Garda Trentino 13 falesie, con oltre 500 itinerari, attrezzate su incarico dell’ente pubblico e regolarmente controllate e manutentate. Numero destinato crescere nei prossimi anni soprattutto nella direzione di un incremento dell’offerta di itinerari di difficoltà contenuta, fino al grado 6, rivolti a quel grande universo di climbers che si avvicina a questo sport nelle grandi sale urbane a cui il Garda Trentino si propone come meta per una vacanza ricca di opportunità sportive ma non solo.

La famiglia attiva è per il Garda Trentino uno dei primi riferimenti e così si stanno diffondendo sempre di più, e con grande successo, le aree di arrampicata dedicate, dopo i massi di Prabi e del Gaggiolo ed il muro dell’Asino ecco che è stata valorizzata una falesia espressamente per le famiglie.

Due balze nell’oliveto, raggiungibili con una breve passeggiata dal centro di Arco e dall’area dei campeggi, a poche centinaia di metri da una delle falesie più conosciute al mondo – il Policromuro di Massone.

La Falesia Family San Martino è suddivisa in due settori: il settore Kids, una placca inclinata con 9 linee di grado 3/4 dedicate ai personaggi di ICE AGE, ed il settore Junior, un muro sub verticale con 8 linee di grado 5/6 dedicata alle avventure di Harry Potter.

Alla sommità della falesia, raggiungibile con facile sentiero, è stato ricavata una terrazza belvedere, una ideale aula a cielo aperto. Qui parte il sentiero che in qualche decina di minuti porta alle Trincee di Vastrè della prima Guerra Mondiale ed alle Cave di Oolite del Bosco Caproni.

La valorizzazione ed attrezzatura della falesia è stata finanziata dal Comune di Arco con la partecipazione delle squadre del Servizio Sostegno Occupazionale e Valorizzazione Ambientale della Provincia di Trento.

Per i prossimi anni sono previsti ulteriori interventi volti a farne un vero punto di ritrovo per le famiglia sportive.

dott. Angelo Seneci
Consulente di Ingarda Spa
per il progetto Outdoor Park Garda Trentino

SCHEDA: Falesia Family San Martino, Arco

14/06/2015 – Arco e le falesie dell’Outdoor Park Garda Trentino
Angelo Seneci, consulente tecnico di Outdoor Park Garda Trentino, racconta tutte le ultime novità dell’arrampicata attorno ad Arco e il progetto dell’Alto Garda che mira a creare un grande spazio dedicato agli sport all’aria aperta.

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Mount Dickey nuova via di ghiaccio e misto in Alaska per Frieh, Diesinger e Stuckey

Nel mese di marzo 2015 John Frieh, Chad Diesinger e Jason Stuckey hanno effettuato la prima salita di Blue Collar Beatdown (V WI4 M4 65°), una nuova via di ghiaccio e misto sulla parete NE di Mount Dickey in Alaska.

Il 20 e 21 marzo 2015 la parete NE di Mount Dickey in Alaska è stata salita durante 48 ore dagli alpinisti John Frieh, Ciad Diesinger e Jason Stuckey attraverso la loro Blue Collar Beatdown. La nuova via affronta difficoltà fino a V WI4 M4 65° ed è la seconda nuova via di Frieh su questa cima, dopo No Such Things As A Bargain Promise (VI A0 WI5R M6) salita nel 2012 insieme a Doug Shepherd.

48 ORE SU MOUNT DICKEY di John Frieh

Man mano che l’inverno andava avanti mi sono reso conto che le condizioni della stagione primaverile in Alaska sarebbero state magre. È stato l’inverno più caldo mai registrato in l’Alaska, a questo bisogna anche aggiungere che si sono registrate le nevicate meno consistenti degli ultimi anni. Per queste ragioni già all’inizio di marzo ho iniziato a cercare delle finestre di bel tempo. Avendo salito Mt Huntington due volte a marzo (nel 2011 e nel 2014) sapevo che, se fossi riuscito ad identificare una buona finestra di bel tempo, le probabilità sarebbero state alte per riuscire a trovare qualcosa da salire.

Dopo molte discussioni su dove si sarebbe stabilita la bassa pressione nel golfo e sulle conseguenti condizioni metereologiche della Central Range in Alaska, ho acquistato, all’ultimo minuto, un biglietto per Fairbanks. Atterrati presto la mattina del 19 aprile, insieme a Jason Stuckey e Chad Diesinger, siamo subito partiti per Talkeetna. Abbiamo raggiunto la città proprio all’apertura del Roadhouse bar dove ciascuno di noi ha mangiato il tradizionale Rudy e Razzy burger. Poi ci siamo diretti al Talkeetna Air Taxi. Dopo aver sistemato gli zaini siamo partiti per il Ruth Gorge.

Come sempre Paul Roderick del Talkeetna Air Taxi è stato così gentile a "volare lentamente" all’andata e, dopo alcune osservazioni dall’aria, abbiamo escluso le prime possibilità, prendendo la decisione di verificare la parete NE del Mount Dickey. Dopo aver stabilito il nostro campo base abbiamo preso gli sci e siamo andati ad ispezionare la parete. Anche se quello che abbiamo visto non ispirava troppa fiducia, è stato sufficiente per meritare una seconda visita per il giorno successivo.

La mattina seguente siamo partiti alle 4:45 e con gli sci abbiamo raggiunto la montagna. Abbiamo depositato gli sci vicino alla base della parete, proseguendo a piedi. Ad essere onesti non riesco a ricordare quando abbiamo raggiunto la parete, sarà stato attorno alle 07:00 o giù di lì. Due tiri di snice (snow and ice, neve e ghiaccio) sono stati superati bene, piccozze con poche protezioni. Considerando quanto siano marginali questi tiri, mi sento di suggerire, ad eventuali ripetitori, di progettare la salita di questa via ad inizio primavera.

Questi due tiri ci hanno portato sulla rampa di neve che solca la parete. Dove il terreno lo permetteva abbiamo arrampicato in conserva, altrimenti proseguivamo in cordata, ciascuno facendo delle sezioni da capocordata. Abbiamo incontrato tutto il possibile, dall’arrampicata di misto fino ad una neve farinosa senza fondo. Io ho salito la mia parte dei tiri a fine giornata, all’imbrunire ed ho finito ben dopo l’arrivo del buio.

Il nostro progetto originale, la nostra speranza, era di riuscire ad essere fuori dalla parete prima del tramonto per poi affidarsi alla mia esperienza della salita del 2012 per la discesa nel buio o, nel peggiore dei casi, berci qualcosa per tenerci caldi sul pianoro sommitale. Purtroppo le cose non sono andate secondo i piani e dopo essere stati rallentati dalla complessità della via, ci siamo rassegnati a scavare una pseudo truna di neve per sederci ad aspettare l’alba. Quando finalmente ci siamo sistemati era circa mezzanotte. Abbiamo "apprezzato" quattro lunghe ore della notte in Alaska. Ironia della sorte (almeno a me, suppongo) è che proprio quella era l’ultima notte d’inverno e la mattina seguente sarebbe stato il primo giorno di primavera. A mio parere, proprio perché non eravamo in vetta in quel momento la nostra non dovrebbe contare come una salita invernale. Visto che nessuno di noi aveva portato l’attrezzatura per fare bivacco, il fornello è stato usato un tantissimo quella notte. Nessuno ha dormito per paura dei congelamenti a mani e piedi.

Con le prime luci siamo usciti dalla truna e ci siamo sforzati nuovamente per uscire dalla parete. Dopo due tentativi falliti abbiamo finalmente trovato la strada giusta. Era molto più tardi di quello che speravamo e ci siamo trascinati in cima, raggiungendola verso le 17:00.

Abbiamo raggiunto il passo 747 verso le 8 di sera, bevendo qualcosa con gli ultimi raggi di luce. Caffè, Perpetuem e quel poco che era rimasto da mangiare è stato consumato, poi abbiamo iniziato la discesa che ci avrebbe impegnato per altre 8 ore per rpoi aggiungere finalmente la nostra tenda il 20 marzo alle 4 del mattino. Tutto sommato siamo rimasti svegli per 48 ore ed eravamo sempre in movimento, tranne quella sessione di 4 ore a "sedere e soffrire".

A partire dal mio primo viaggio nel 2009, "Blue Collar Beatdown" è la mia seconda prima salita sul Mount Dickey e la mia nona "prima" in Alaska. Vorrei ringraziare tutti i grandi partner con cui ho arrampicato su questa e sulle altre vie nel corso degli anni.



MOUNT DICKEY INFO
Mount Dickey è stata salita la prima volta il 19 arile 1955 da David Fischer ed il famoso esploratore, alpinista e cartografo Bradford Washburn, attraverso la parete ovest che rimane ancora oggi è la via più frequentata. Brian Okonek e Roger Cowles hanno effettuato la prima salita invernale nel febbraio del 1979 lungo la via parete ovest.

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Voodoo-Zauber, nuova via sul Sass de la Crusc in Dolomiti per Simon Gietl e Andrea Oberbacher

Sul Sass de la Crusc (2718m) in Dolomiti Simon Gietl e Andrea Oberbacher hanno aperto e liberato la nuova via d’arrampicata Voodoo-Zauber (IX-, 180m).

In tre giorni, lo scorso settembre 2014, gli alpinisti Simon Gietl e Andrea Oberbacher hanno aperto una nuova via sul Sass de la Crusc in Val Badia, Dolomiti. La linea, battezzata Voodoo-Zauber, sale sei tiri indipendenti sul lato destro della parete con una linea che corre a destra del Diedro centrale aperto nel 1970 da Hans Frisch e P. Corradini, e a sinistra di Ihr Affen di Christoph Hainz e Kurt Astner del 1994.

Oberbacher e Gietl hanno aperto la via dal basso, senza corde fisse e senza spit, mentre la libera risale al 7 agosto 2015. “Inizialmente pensavo che la via sarebbe stata più facile” ci ha raccontato Gietl “poi invece le difficoltà si sono rivelate abbastanza elevate, fino all’ IX-“. Da notare che durante la rotpunkt alcuni friends sul tiro chiave erano stati precedentemente piazzati.

Voodoo-Zauber è la seconda via aperta da Gietl sul Sass de la Crusc dopo Vergissmeinnicht del 2013. Ricordiamo che l’anno scorso, sulla stessa parete, Gietl aveva effettuato la prima invernale della via Wüstenblume insieme a Adam Holzknecht.


SCHEDA:
Voodoo-Zauber, Sass de la Crusc, Dolomiti

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