Hidemasa Nishida e Chaehyun Seo super a Briançon

Il report Leonardo di Marino, tracciatore insieme a Carles Brasco e Jan Zbraneck, della terza tappa della Coppa del Mondo di arrampicata Lead 2019 vinta a Briançon sabato scorso dal giapponese Hidemasa Nishida e dalla sud coreana Chaehyun Seo. Secondo posto per Janja Garnbret e Hiroto Shimizu, terzo per Natsuki Tanii e Shuta Tanaka.

Una tracciatura al buio di 32 gradi. Questa è stata la genesi della gara di Briançon. Il lungo programma del Mondiale della Scalata di Briancon, che prevedeva gare locali, il Mondiale Paraclimbing per terminare con la Coppa del Mondo, ha fatto si che la preparazione dei tracciati di gara sia stata fatta ben tre settimane prima dello svolgimento della competizione assoluta.

Nessuna tappa di Coppa si era ancora svolta, solo la settimana successiva si sarebbe iniziato a Villars in Svizzera e quindi si ripartiva dai ricordi dell’ottobre precedente. In più si era nel pieno del ciclone di caldo che ha caratterizzato il mese di giugno: il buio di 32 gradi.

Ma la gara inizia venerdì 19 luglio e le condizioni sono ottime. Alcune teste di serie mancano all’appello ma l’andamento mostra quanto si era visto la settimana prima a Chamonix, sia in campo maschile che femminile, rispettando i valori del ranking attuale.

Se la semifinale femminile conferma tutto questo con il solo top della coreana, tutto cambia nella semifinale maschile: fuori i nomi illustri ed i primissimi delle qualifiche. Senza Stefano Ghisolfi, Alexander Megos e Romain Desgranges era difficile individuare un favorito per la finale.

Per l’ultimo turno il livello è diventato estremamente omogeneo, nei pensieri di noi tracciatori e nella realtà. Pochi gli errori commessi dagli atleti, poche le prese di differenza per stabilire la classifica su una via che ha mostrato più i diversi stili di gestione dello sforzo che le differenti soluzioni interpretative.

In gara maschile ha vinto Hidemasa Nishida, il primo a partire, l’ultimo dei qualificati della semifinale, a voler confermare nella maniera più “estrema” che avevamo otto possibili vincitori.

La finale femminile è stata diversa. Indubbiamente ha emotivamente coinvolto di più. La salita della sorpresa francese Nina Arthaud, il recupero della statunitense Ashima Shiraishi che fa però scadere il tempo, le salite combattute con il crescendo finale delle due atlete al top. Un top raggiunto con un lancio di destrezza che, fatto dalla Janja Garnbret, sembrava la conferma delle doti assolute di questa fortissima atleta ma che, ripetuto dalla coreana, ha fatto capire che sulla strada della slovena c’è adesso una fortissima e completa nuova avversaria.

LEAD
Femminile
1 Chaehyun Seo KOR Top
2 Janja Garnbret SLO Top
3 Natsuki Tanii JPN 41+
4 Mia Krampl SLO 36
5 Ashima Shiraishi USA 36
6 YueTong Zhang CHN 33+
7 Vita Lukan SLO 32+
8 Nina Arthaud FRA 24+

9 Christine Schranz AUT
10 Mei Kotake JPN
11 Natsumi Hirano JPN
12 Mina Markovic SLO
13 Margo Hayes USA
14 Lucka Rakovec SLO
15 Ievgeniia Kazbekova UKR
16 Molly Thompson-Smith GBR
17 Tjasa Kalan SLO
18 Laura Rogora ITA
19 Katharina Posch AUT
20 Anne-Sophie Koller SUI
21 Julia Fiser AUT
22 Heloïse Doumont BEL
23 Fanny Gibert FRA
24 Julia Chanourdie FRA
25 Claudia Ghisolfi ITA
26 Nolwenn Arc FRA
27 Sol Sa KOR
28 Brooke Raboutou USA
29 Michelle Hulliger SUI
30 Lynn Van Der Meer NED
31 Valentina Aguado ARG
32 Kajsa Rosen SWE
33 Léa Delacquis FRA
34 Yuki Hiroshige JPN
35 Risa Ota JPN
36 Vanda Michalkova SVK
37 Nolwen Berthier FRA
38 Zoé Egli SUI
38 Rebecca Frangos CAN
40 Camille Pouget FRA
41 Tina Johnsen Hafsaas NOR
42 Lan Kim KOR
42 Miu Kurita JPN
44 Kyra Condie USA
45 Lucia Dörffel GER
46 Manon Hily FRA
47 Bréanne Robert FRA
48 Léna Grospiron FRA
49 Oceania Mackenzie AUS
50 Alannah Yip CAN
51 Emily Phillips GBR
52 Sandra Lettner AUT
53 Chloe Caulier BEL
54 Andrea Rojas ECU
55 Sienna Kopf USA
56 Ilaria Scolaris ITA
57 Anouck Jaubert FRA
58 Sofya Yokoyama SUI
59 Rong Jiang CHN
59 Joanna Neame GBR
61 Katherine Choong SUI
62 Maria Benach Zubero ESP
63 Natalia Kalucka POL
64 Rut Monsech Gasca ESP
65 Allison Vest CAN
66 Rhoslyn Frugtniet GBR
67 Indiana Chapman CAN
68 Sophie Buitendyk CAN
69 Käthe Atkins GER
69 Silvia Cassol ITA
71 Leonie Lochner GER
72 Patrycja Chudziak POL
73 RACHELLE De Charmoy RSA
74 Aleksandra Kalucka POL
75 Amanda Speed NZL
76 Lucinda Ann Stirling AUS
77 Sarah Tetzlaff NZL
78 Anna Brozek POL
79 Roxy Perry AUS

Maschile
1 Hidemasa Nishida JPN 39+
2 Hiroto Shimizu JPN 38+
3 Shuta Tanaka JPN 38+
4 William Bosi GBR 38
5 Sean McColl CAN 38
6 Sean Bailey USA 34+
7 Domen Škofic SLO 34+
8 Marcello Bombardi ITA 34+

9 YuFei Pan CHN
10 Romain Desgranges FRA
11 Yannick Flohé GER
12 Rudolph Ruana USA
13 Sascha Lehmann SUI
14 Nathaniel Coleman USA
15 Stefano Ghisolfi ITA
16 Alexander Megos GER
17 Nao Monchois FRA
18 Max Rudigier AUT
19 Matthias Schiestl AUT
20 Hanwool Kim KOR
21 Keita Dohi JPN
22 Alberto Ginés López ESP
23 Dmitrii Fakiryanov RUS
24 Mikel Asier Linacisoro Molina ESP
25 Hannes Puman SWE
26 Thomas Joannes FRA
27 Martin Bergant SLO
27 Francesco Vettorata ITA
29 Tomoaki Takata JPN
30 Yuki Hada JPN
31 Sam Avezou FRA
31 Dohyun Lee KOR
31 Vladislav Shevchenko RUS
34 Jongwon Chon KOR
35 James Pope GBR
36 Luka Potocar SLO
37 Campbell Harrison AUS
38 Alistair Duval FRA
38 Filip Schenk ITA
40 Paul Jenft FRA
41 Jakub Konecny CZE
42 Leo Avezou FRA
43 Hugo Parmentier FRA
44 Simon Lorenzi BEL
45 Nimrod Marcus ISR
46 Taisei Homma JPN
47 Milan Preskar SLO
47 Danny Valencia ECU
49 Jabee Kim KOR
50 Michael Piccolruaz ITA
51 Jonas Brandenburger GER
52 Tom O’halloran AUS
53 Jan Hojer GER
54 Lucas Uchida CAN
55 Jernej Kruder SLO
56 Jesse Grupper USA
57 Sean Faulkner CAN
58 Philipp Martin GER
59 Zach Galla USA
60 David Barrans GBR
61 Adrien Lemaire FRA
62 Christopher Cosser RSA
63 Mickael Mawem FRA
64 Stefan Scherz AUT
65 Dimitri Vogt SUI
66 Nicolas Collin BEL
67 Mark Brand NED
68 Mischa Radt NED
69 Vojtech Trojan CZE
70 Sven Lempereur BEL
71 Stepan Volf CZE
72 Ronny Escobar CHI
73 Tomas Plevko SVK
74 Mykhayil Tkachuk UKR
75 Ludovico Fossali ITA
76 Carlos Granja ECU
77 Bassa Mawem FRA
77 Guy Mcnamee CAN
79 Hritik Marne IND
80 Benjamin Ayala CHI
81 Javier Cano Blazquez ESP
82 Kindar Mcnamee CAN
83 Emilio Rios CHI
84 Ben Abel AUS
85 Kristoffer Lindbäck SWE
86 Paul Brand NED
87 Marcin Dzienski POL
88 Jan Kriz CZE

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Nives Meroi e Romano Benet: l’alpinismo, la vita e le dinamiche di coppia

Ripensando al percorso di Romano Benet e Nives Meroi, ai loro 14 Ottomila ma sopratutto al loro speciale stile di fare alpinismo che si incontra con la vita. Di Manuel Lugli.

Emilio Previtali ha pubblicato il 17 maggio un post su Facebook nel quale, con la sua usuale lucidità e capacità di scrittura, commenta la bella conclusione del “Percorso Ottomila” di Nives Meroi e Romano Benet. Condivido gran parte del suo scritto e quindi il mio commento potrebbe chiudersi con questa stringa: https://www.facebook.com/emilio.previtali/posts/10155316680741726. Vedi Previtali. Se continuo è perchè mi piacerebbe aggiungere qualche considerazione personale, che viene dalla profonda amicizia che mi lega a Nives e Romano e dalla fortuna di aver condiviso in passato alcune avventure con loro.

Ero con loro in quel magico 1994 al K2, quando per tre mesi siamo stati “prigionieri” dello spigolo nord del Qogir, o meglio del fiume Shaksgam, che col suo impetuoso scorrere blocca pressochè qualsiasi possibilità di fuga dalla montagna. Una spedizione difficile ma magica, che ha dato il via a una conoscenza divenuta in breve tempo una bella amicizia. E’ lì che ho visto in azione per la prima volta la loro forza tecnica e fisica, una forza resa esponenziale dalla loro intesa come cordata e come coppia. E’ lì che ho potuto apprezzare per la prima volta il loro rigore etico: niente ossigeno, niente portatori d’alta quota, corde fisse solo quando e se strettamente necessario. Quella volta, assieme all’amico Filippo Sala, altro alpinista di pianura come me, ma molto più forte, salirono l’ultimo tratto dello spigolo in stile alpino, senza nemmeno un spezzone di corda, su un terreno misto mai salito prima e con difficoltà decisamente sostenute. Raggiunsero verso il tramonto del 31 luglio – data fatidica per il K2 di 50 anni prima – gli 8.450 metri di quota, apparentemente a un passo dalla vetta del K2, ma in realtà separati da essa da un profondo vallone, cosa che gli impedì di metterci piede. Amen. Ma la forza di questa coppia di friulani tosti e rigorosi era ben chiara e stagliata verso il cielo come lo spigolo su cui salivano.

Da allora il loro stile, il loro rigore non li ha mai abbandonati; così come, pur condividendo negli anni spedizioni e salite con tanti amici, non è mai stata in discussione la loro indissolubile cordata. Solo il compianto Luca Vuerich ha pienamente condiviso tende, gioie e sofferenze di tante delle loro successive avventure; ma con Luca la loro era come una famiglia, pronta a dividersi onori e oneri, carezze e sberle delle montagne. Con gli altri alpinisti poteva esserci condivisione di fatiche e di qualche campo, la posa di qualche tratto di corda fissa, le cene e le ore d’ozio al campo base. Ma la salita ultima, quella che porta in vetta era affare loro e basta. Questo, in alcuni casi, ha portato qualcuno a considerare Nives e Romano troppo individualisti o “estranei” alle dinamiche del gruppo. Ma chi li conosce bene, sa che non si tratta di individualismo: è il loro modo di andare in montagna, soprattutto il momento della verità, quello della vetta, è solo loro, nel passo, nei pensieri, nell’assunzione dei rischi, nel fallimento e nel successo.

Per tanti anni ho organizzato professionalmente spedizioni e ho avuto modo di conoscere un gran numero di alpinisti, famosi e meno famosi. In pochi ho ritrovato la stessa capacità di “sentire” la montagna. L’istinto animale di Romano nel trovare la via – anche se con qualche brillante errore dovuto alle condizioni o alla sua proverbiale caparbietà – la determinazione inarrestabile di Nives, sono stati i motivi dominanti del loro andare in montagna. Pochi campi, montati e smontati, caricati sulle spalle in salita e in discesa, pochi metri di corda per i tratti più difficili, sono stati il loro stile.

Anche la fase della malattia di Romano è stata affrontata allo stesso modo: come una cordata indissolubile. Che non vuol dire essere sempre d’accordo, anzi. Nives e Romano discutono spesso in montagna – e non solo. Come tantissime coppie normali. Ma quando arriva il momento, sanno che la loro forza si amplifica nell’armonizzazione dei loro passi. Anche questo non vuol dire muoversi sempre insieme; diverse volte Romano ha preceduto Nives su qualche montagna, attendendola in vetta per parecchi minuti. Così come Nives ha atteso e sostenuto Romano in quell’incredibile odissea che è stata la discesa dal Kanchenjunga l’anno in cui Romano scoprì di essere gravemente ammalato.

Non esistono altre coppie nella storia dell’alpinismo che abbiano completato la salita dei 14 ottomila della Terra e questo è davvero un record. Anche in questo caso tanti altri alpinisti, pure meno blasonati, avrebbero predisposto una macchina di comunicazione massiccia, prima, durante e dopo la spedizione. Ma non loro. Non l’hanno mai fatto ed ero certo non l’avrebbero fatto nemmeno questa volta. Ora tanti “commentatori” e addetti ai lavori, che per anni li hanno snobbati, o alla meglio considerati degli originali, saliranno sul carro del vincitore, come sempre accade in Italia – qualcuno già lo fa. Ma questo fa parte del gioco e del mondo dell’alpinismo mediatico. Quello stesso in cui è lecito propagandare progetti fantascientifici su tutti i media possibili, tanto poi si fa sempre a tempo ad abbassare il tiro, incolpando la neve, il maltempo, i compagni fedifraghi, i portatori inaffidabili o le corde finite.

Click Here: kenzo online españa La filosofia dei nostri è sempre stata prima faccio e poi racconto. E proprio questa è forse la summa della loro montagna, pensata e vissuta per il piacere di salire, non di far conoscere agli altri la propria bravura. Che poi, paradossalmente, Nives – ma sempre di più anche Romano – è bravissima a raccontare. Chi ha assistito ad una delle loro conferenze, sa quanto bene riescano a trasmettere, con le immagini e le parole, le loro emozioni, paure, felicità, successi e insuccessi. Ma tutto quello che precede è avvolto da una sorta di pudore, di reticenza schiva e raccolta che forse non li proietterà nell’empireo di Facebook, Twitter e altri effimeri, ridondanti media, ma di certo ne sancisce la grandezza umana e alpinistica.

E adesso? Quali progetti potranno inventarsi Nives e Romano? Ancora non si sa, naturalmente, ma la “libertà” dagli ottomila non potrà che scatenare la loro fantasia su nuovi (o vecchi ?) progetti, che, se li conosco bene, saranno scomodi, complicati, lunghi e con poche probabilità di successo. Insomma, i progetti giusti per una coppia di friulani forti e caparbi come loro.

di Manuel Lugli

Janja Garnbret e Domen Škofič vincono la Coppa del Mondo Lead 2016 a Kranj

L’ultima tappa della Coppa del Mondo di Arrampicata Lead 2016, tenutasi il 26 e 27 novembre a Kranj in Slovenia, è stata vinta da Anak Verhoeven e Sebastian Halenke. Akiyo Noguchi e Domen Skofic si sono piazzati secondi, davanti a Janja Garnbret e Jacob Schubert. Gli sloveni Janja Garnbret e Domen Škofič si sono aggiudicati quindi la Coppa del Mondo Lead 2016.

Nonostante l’ottima gara in cui Stefano Ghisolfi era in testa dalle qualifiche, purtroppo il climber di Torino con il quarto posto non riesce ad aggiudicarsi il terzo posto della classifica generale della Coppa del Mondo di arrampicata Lead 2016, vinta dagli sloveni Janja Garnbret e Domen Škofič. La medaglia d’argento è stata assegnata a Anak Verhoeven e Jakob Schubert mentre il bronzo va a Jain Kim e Romain Desgranges.

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La gara di Kranj è stata vinta dalla belga Anak Verhoeven e dal tedesco Sebastian Halenke. Akiyo Noguchi e Domen Škofič si sono piazzati secondi, Janja Garnbret e Jacob Schuber terzi.

KRANJ CLASSIFICA FINALE
MASCHILE
1 Sebastian Halenke GER 37
2 Domen Skofic SLO 23+
3 Jakob Schubert AUT 20
4 Stefano Ghisolfi ITA 20
5 Dmitrii Fakiryanov RUS 20
6 Urban Primozic SLO 20
7 Romain Desgranges FRA 19+
8 Yuki Hada JPN 15+

9 Sean McColl CAN
10 Thomas Joannes FRA
11 Francesco Vettorata ITA
12 Max Rudigier AUT
13 Gautier Supper FRA
14 Masahiro Higuchi JPN
15 Fedir Samoilov UKR
16 Jure Raztresen SLO
17 Tomoki Musha JPN
18 Mario Lechner AUT
19 Milan Preskar SLO
20 Taito Nakagami JPN
21 Naoki Shimatani JPN
22 Hannes Puman SWE
23 Sascha Lehmann SUI
24 Keiichiro Korenaga JPN
25 Kaya Otaka JPN
26 Sean Bailey USA
27 Marcello Bombardi ITA
28 Javier Cano Blazquez ESP
29 Kai Lightner USA
30 Dimitri Vogt SUI
31 Mathias Posch AUT
32 Nicolas Collin BEL
33 Maël Bonzom FRA
34 Anatole Bosio FRA
35 Mikhail Chernikov RUS
35 Loïc Timmermans BEL
37 Ramón Julian Puigblanque ESP
38 Elan Jonasmcrae CAN
38 Simon Lorenzi BEL
40 Evgenii Zazulin RUS
41 James Pope GBR
42 Jernej Kruder SLO
43 Obed Hardmeier SUI
44 Charli Blein FRA
45 William Bosi GBR
46 Anze Peharc SLO
47 Martin Bergant SLO
48 Arman Ter-Minasyan RUS
49 Alberto Gotta ITA
49 Sergei Skorodumov RUS
51 Gregor Vezonik SLO
52 Yiftach Kushnir ISR
53 Ruben Firnenburg GER
54 Zan Sudar SLO
55 Pan Yufei CHN
56 Mark Brand NED
57 Tomáš Plevko SVK
58 Martin Tekles GER
59 Tomas Binter CZE
60 Mykhayil Tkachuk UKR
61 Wang Dingguo CHN
62 Jinyu Pan CHN
63 Jakub Dvorak CZE
64 Nathan Price USA

FEMMINILE
1 Anak Verhoeven BEL 48+
2 Akiyo Noguchi JPN 41
3 Janja Garnbret SLO 40+
4 Mina Markovic SLO 40+
5 Hannah Schubert AUT 31+
6 Jain Kim KOR 31+
7 Yuka Kobayashi JPN 25+
8 Mathilde Becerra FRA 21+

9 Julia Chanourdie FRA
10 Katharina Posch AUT
11 Katja Kadic SLO
12 Kajsa Rosen SWE
13 Jessica Pilz AUT
14 Molly Thompson- Smith GBR
15 Aya Onoe JPN
15 Risa Ota JPN
17 Christine Schranz AUT
18 Anne-Sophie Koller SUI
19 Vita Lukan SLO
20 Rebeka Kamin SLO
21 Salomé Romain FRA
22 Michelle Hulliger SUI
23 Jenny Lavarda ITA
24 Tjasa Kalan SLO
25 Andrea Ebner ITA
26 Mia Krampl SLO
27 Netta Fredman ISR
28 Yuki Hiroshige JPN
29 Tina Johnsen Hafsaas NOR
29 Hélène Janicot FRA
29 Laura Stöckler AUT
32 Nolwenn Arc FRA
33 Evelyne Fux SUI
34 Kaja Skvarc Bozic SLO
35 Tjasa Slemensek SLO
36 Kokoro Takata JPN
37 Nolwen Berthier FRA
38 Veronika Meke SLO
39 Lisa De Martini ITA
40 Celine Cuypers BEL
41 Silvia Cassol ITA
42 Iva Vejmolova CZE
43 Jara Späte SUI
44 Claudia Ghisolfi ITA
45 Romy Fuchs GER
46 Solveig Korherr GER
47 Solène Amoros FRA
48 Gabriela Vrablikova CZE
49 Ayane Sakai JPN

COPPA DEL MONDO 2016 CLASSIFICA FINALE
MASCHILE
1 Domen Skofic SLO 472.00
2 Jakob Schubert AUT 402.00
3 Romain Desgranges FRA 380.00
4 Stefano Ghisolfi ITA 356.00
5 Gautier Supper FRA 281.00
6 Sean Mccoll CAN 279.00
7 Sebastian Halenke GER 255.00
8 Thomas Joannes FRA 232.00
9 Masahiro Higuchi JPN 213.00
10 Urban Primozic SLO 199.00
11 Keiichiro Korenaga JPN 197.00
12 Dmitrii Fakiryanov RUS 196.00
13 Hanwool Kim KOR 190.00
14 Francesco Vettorata ITA 173.00
15 Sascha Lehmann SUI 133.00
16 Ramón Julian Puigblanque ESP 128.00
17 Sean Bailey USA 120.00
18 Max Rudigier AUT 100.00
19 Loïc Timmermans BEL 95.00
20 Naoki Shimatani JPN 92.00
21 Yuki Hada JPN 66.00
22 Kokoro Fujii JPN 63.00
23 Mario Lechner AUT 51.00
23 Adam Ondra CZE 51.00
25 Charli Blein FRA 50.00
26 Jihwan Park KOR 49.00
26 Tomas Ravanal CHI 49.00
28 Marcello Bombardi ITA 47.00
29 Alberto Gotta ITA 42.00
30 Taito Nakagami JPN 40.00
31 Meichi Narasaki JPN 39.00
32 Mikhail Chernikov RUS 38.00
33 Fedir Samoilov UKR 34.00
34 Hannes Puman SWE 29.00
35 Nathan Michel FRA 28.00
36 Kai Harada JPN 26.00
36 Haibin Qu CHN 26.00
38 Martin Bergant SLO 25.00
39 Maël Bonzom FRA 24.00
40 Martin Tekles GER 23.00
41 Yiftach Kushnir ISR 22.00
42 Kaya Otaka JPN 20.00
42 Jure Raztresen SLO 20.00
44 Tomoki Musha JPN 18.00
45 Stefano Carnati ITA 17.00
45 Christoph Hanke GER 17.00
47 David Firnenburg GER 16.00
48 Sergei Bydtaev RUS 14.00
48 Milan Preskar SLO 14.00
50 Rustam Gelmanov RUS 13.00
50 Elan Jonasmcrae CAN 13.00
52 Javier Cano Blazquez ESP 12.00
53 Nicolas Collin BEL 10.00
53 Pan Yufei CHN 10.00
55 Kevin Huser SUI 9.00
55 Minoru Nakano JPN 9.00
57 Anatole Bosio FRA 8.00
57 Ruben Firnenburg GER 8.00
57 Bernhard Röck AUT 8.00
57 Yuval Shemla ISR 8.00
61 Evgenii Zazulin RUS 7.00
62 Hiroto Shimizu JPN 6.00
63 Kai Lightner USA 3.00
63 Zida Ma CHN 3.00
63 Mathias Posch AUT 3.00
66 Stephane Hanssens BEL 2.00
66 Or Wechsler ISR 2.00
68 Sébastien Berthe BEL 1.00
68 Seungwoon Cho KOR 1.00
68 Dimitri Vogt SUI 1.00

FEMMINILE
1 Janja Garnbret SLO 530.00
2 Anak Verhoeven BEL 495.00
3 Jain Kim KOR 395.00
4 Magdalena Röck AUT 345.00
5 Mina Markovic SLO 306.00
6 Yuka Kobayashi JPN 239.00
7 Mathilde Becerra FRA 236.00
8 Julia Chanourdie FRA 230.00
9 Jessica Pilz AUT 223.00
10 Hélène Janicot FRA 197.00
11 Anne-Sophie Koller SUI 190.00
12 Christine Schranz AUT 170.00
13 Salomé Romain FRA 155.00
14 Katharina Posch AUT 146.00
15 Risa Ota JPN 144.00
16 Hannah Schubert AUT 138.00
17 Akiyo Noguchi JPN 135.00
18 Dinara Fakhritdinova RUS 115.00
19 Ievgeniia Kazbekova UKR 78.00
20 Tjasa Kalan SLO 77.00
21 Rebeka Kamin SLO 74.00
22 Kajsa Rosen SWE 70.00
23 Charlotte Durif FRA 65.00
24 Asja Gollo ITA 56.00
25 Delaney Miller USA 53.00
26 Yuki Hiroshige JPN 51.00
27 Claudia Ghisolfi ITA 47.00
28 Nolwenn Arc FRA 46.00
29 Netta Fredman ISR 42.00
30 Solène Amoros FRA 35.00
31 Katja Kadic SLO 31.00
32 Alina Ring SUI 29.00
32 Kokoro Takata JPN 29.00
34 Lamu Renqing CHN 28.00
35 Nikki Van Bergen NED 25.00
36 Molly Thompson-Smith GBR 24.00
37 Mei Kotake JPN 21.00
37 Aya Onoe JPN 21.00
39 Barbara Bacher AUT 18.00
40 Natsuko Shimizu JPN 16.00
41 Seuran Han KOR 15.00
42 Vita Lukan SLO 14.00
43 Nolwen Berthier FRA 12.00
44 Aya Kikuzawa JPN 11.00
45 Katherine Choong SUI 10.00
46 Michelle Hulliger SUI 9.00
46 Léa Marigo FRA 9.00
46 Anna Tsyganova RUS 9.00
46 Gabriela Vrablikova CZE 9.00
50 Julia Fiser AUT 8.00
50 Jenny Lavarda ITA 8.00
50 Di Niu CHN 8.00
53 Yuzhen Baima CHN 7.00
54 Andrea Ebner ITA 6.00
54 Andrea Kümin SUI 6.00
54 Zhuoma Pubu CHN 6.00
57 Claire Buhrfeind USA 5.00
57 Mia Krampl SLO 5.00
57 Renzeng Zhuoma CHN 5.00
60 Evelyne Fux SUI 4.00
61 Elena Krasovskaia RUS 3.00
61 Moe Yoshimura JPN 3.00
63 Tina Johnsen Hafsaas NOR 1.00
63 Lenka Slezakova CZE 1.00
63 Laura Stöckler AUT 1.00<

La falesia dimenticata, partito il crowdfunding per ripristinare l’arrampicata a San Lorenzo – Dorsino

È partito un crowdfunding, promosso dall’associazione DolomitiOpen, per restituire alla comunità dei climber la falesia di San Lorenzo – Dorsino, una parete unica e speciale in un luogo magico ai piedi delle Dolomiti di Brenta.

Alla fine dei mitici anni ’80 una falesia in un paesino ai piedi delle Dolomiti di Brenta, San Lorenzo – Dorsino, aveva catturato l’immaginazione dei climbers che, proprio in quel periodo, stavano esplorando la nascente arrampicata sportiva. La fascia di solidissimo conglomerato a buchi, unico nel suo genere per l’arrampicata nella vicina Valle del Sarca, era presto diventata un importante punto di ritrovo per i climbers. Poi però, tutto ad un tratto all’inizio degli ’90, il proprietario del bellissimo prato verde ai piedi della parete ha deciso chiudere per sempre la falesia.

Adesso l’associazione DolomitiOpen sta cercando di rendere la falesia nuovamente accessibili a tutti e, attraverso un crowdfunding, sta raccogliendo fondi per acquistare i 1000 mq di terreno che comprende la falesia e il bellissimo prato sottostante con annessa sorgente. La campagna di raccolta fondi durerà 40 giorni e servono €18.000,00. Qui la presentazione per “restituire alla comunità una falesia unica in un luogo magico per ritornare ad arrampicare su una delle rocce più belle d’Italia.”

– Vai al crowdfunding

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Thomas Huber: la caduta, il Latok I e la gratitudine di essere vivo

Il racconto dell’alpinista tedesco Thomas Huber degli ultimi tre mesi che hanno “plasmato la mia vita in modo sostanziale.” A partire da una caduta a terra da 16 metri, passando per il sogno del Latok I in Karakorum e l’incubo delle ricerche per gli alpinisti statunitense Scott Adamson e Kyle Dempster sul vicino Ogre II.

Sono stati tre mesi intesi e tumultuosi per l’alpinista tedesco Thomas Huber. All’inizio di luglio il fortissimo 49enne è sopravvissuto per miracolo ad una bruttissima caduta in falesia; è bastato un momento di disattenzione, la corda troppa corta sulla quale si stava calando alla Brendelwand, e Thomas è piombato a terra da 16 metri. Ricoverato subito in terapia intensiva, a Thomas è stato diagnosticato un trauma cranico e ha subito diverse operazioni. Poi, ancora una volta come per miracolo, la riabilitazione è progredita con tempi da record. Così, a nemmeno cinque settimane dall’intervento, è partito per il Karakorum in Pakistan. L’obiettivo: l’ancora inviolata parete nord del Latok I (7145m) insieme ai tedeschi Toni Gutsch e Sebastian Brutscher. Oppure completare la via percorsa, fino a 150m dalla cima, nel 1978 durante una leggendaria salita di 26 giorni dagli statunitensi Jim Donini, George Lowe, Jeff Lowe e Michael Kennedy.

Thomas Huber conosce bene quella zona sul ghiacciaio Choktoi. Già nel 1997, insieme a suo fratello minore Alexander, a Gutsch e allo statunitense Conrad Anker, aveva aperto una nuova via sulla parete ovest del Latok II (7108m). Mentre nel 2001 Thomas aveva effettuato la prima salita del vicino Ogre III e la seconda salita assoluta dell’Ogre (7285m) insieme agli svizzeri Urs Stoecker e Iwan Wolf, 24 anni dopo l’epica prima salita nel 1977 da parte di Chris Bonington e Doug Scott.

Questa sua conoscenza dell’Ogre è utilissima poco dopo l’arrivo del team tedesco al campo base: in quel momento gli alpinisti statunitensi Kyle Dempster e Scott Adamson stavano tentando l’inviolata parete nord dell’Ogre II (6960m) ma di loro non si avevano più notizie. Huber, Gutsch e Brutscher si sono subito messi in moto, hanno individuato gli sci degli statunitensi alla base della parete, ma a causa del brutto tempo sono stati costretti a tornare indietro. Poi, 10 giorni dopo l’ultimo avvistamento, finalmente è arrivato il bel tempo e con esso due voli di ricognizione in elicottero fino a 7200m – in tasca Thomas aveva con sé dei medicinali d’emergenza perché non sapeva se una rapida salita a quelle quote potesse essere pericolosa. Purtroppo degli statunitensi non c’era nessuna traccia, e nemmeno la difficile e pericolosa salita fino a quota 6200 sulla cresta NO alcuni giorni più tardi ha dato esito positivo. A malincuore sono state interrotte le ricerche, quello che rimaneva era il dolore dell’immensa perdita di due dei più forti e promettenti alpinisti, non solo statunitensi.

Nonostante tutto il sogno delle nord del Latok I è rimasto intatto ma, anche se a questo punto i tedeschi erano ben acclimatati, il destino ha voluto altrimenti ancora una volta…

IL MIO RITORNO A DOVE TUTTO È INIZIATO di Thomas Huber

Il mio ritorno in quel luogo, dove tutto è iniziato, è stato emozionante. Sono andato da solo. Ho attraversato il ripido sentiero verso la parete Brendelwand. Lo ammetto, il cuore andava a mille mentre tornavo lì dove ero caduto da 16 metri. Ho fatto un respiro profondo, ho girato l’angolo e poi tutto ad un tratto ero lì! Un momento potente; sento l’energia che mi ha fatto sopravvivere, mi siedo nel posto in cui sono atterrato. Anche la corda troppa corta è ancora appesa in parete e adesso mi rendo conto che il tutto è stato molto di più che semplicemente un’immensa fortuna. Sono sopravvissuto alla caduta e questo mi riempie di un indescrivibile senso di gratitudine! Tra quel istante ed adesso sono trascorsi quasi 3 mesi che hanno plasmato la mia vita in modo sostanziale.

AGOSTO 2016
Ho attraversato la Panmah Valley in direzione Choktoi, pieno di energia ed euforia insieme a Toni Gutsch, Sebi Brutscher, Max Reichel e gli statunitensi Jim Donini, George Lowe e Thom Engelbach. Il Choktoi rappresenta per me il ‘Stonehenge’ dell’alpinismo, è un luogo che straripa di energia e segreti, ha un carisma magnetico. È un luogo che promette avventura, circondato dalle più selvagge montagne del mondo: Latok III, Latok II, Latok I, Ogre II e Ogre. George e Jim volevano scalare una montagna di 6000 metri insieme a Thom e tornare nel luogo dove, nel 1978, avevano scritto una importante pagina della storia dell’alpinismo con la loro “quasi salita” della cresta nord del Latok I. Non di rado la loro avventura durata 26 giorni è stata intitolata come “Il fallimento più eccezionale della storia dell’alpinismo!”

Dopo 4 giorni di camminata, il 23 agosto abbiamo raggiunto il campo base a 4400 metri sopra il livello del mare. Di fronte a noi si apriva l’incredibile scenario della catena montuosa del Latok. Era bello essere lì nuovamente, il tempo era buono e la mia tenda era piantata nello stesso posto dell’anno scorso. Il giorno dopo, verso mezzogiorno, è venuto a trovarci Gafour, la guida di Kyle Dempster e Scott Adamson, l’altra spedizione statunitense che aveva stabilito il campo base nella stessa valle su una morena a circa 2 ore di cammino più in alto. Ci ha portato i migliori saluti dei due statunitensi che erano, proprio in quel momento, impegnati a salire la parete nord dell’Ogre II. Lui li aveva visti la sera precedente, una luce in alto sulla parete nord: quel giorno avrebbero potuto raggiungere la vetta.

Ma il tempo non era perfetto, almeno non sull’ Ogre II. La montagna era avvolta in una spessa coltre di nuvole e sembrava esserci molto vento. Forse saranno fortunati, oppure scenderanno in corda doppia abbiamo pensato. Dopo una tazza di tè Gafour ci ha salutati. Noi gli abbiamo dato una radio: non vedevamo l’ora di sentire direttamente Kyle e Scott. Avevo conosciuto quei due ragazzi lo scorso anno, due alpinisti di razza, determinati e con un grande senso dell’umorismo. Quando avevano sentito del mio incidente mi avevano subito scritto dicendomi che mi dovevo riprendere il più presto possibile e che ci saremmo sicuramente rivisti ad agosto a Choktoi.

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Il tempo è stato brutto per i successivi giorni, ha nevicato nuovamente e di Kyle e Scott non c’era ancora nessuna notizia. Dopo 4 giorni abbiamo iniziato ad essere preoccupati. Dopo 6 giorni abbiamo avuto un primo contatto con le loro famiglie e i loro amici in America. In accordo con loro siamo partiti verso l’Ogre II. Sulla “Icefall”, la selvaggia lingua di ghiaccio di fronte alla parete nord, abbiamo trovato i loro sci ma, a parte questi, di loro non c’era alcuna traccia. Abbiamo deciso di installare un campo proprio lì. Durante la notte ha ricominciato a nevicare pesantemente e in quelle condizioni non vedevamo nessuna possibilità di attraversare l’Icefall. Siamo tornati al Campo Base consapevoli che dovevamo aspettarci anche il peggio.

L’unica possibilità che i due avevano, se erano ancora vivi, era un tentativo di salvataggio in elicottero. Ma questo richiedeva il bel tempo! Dall’America è stato organizzato un piano di salvataggio. Attraverso Facebook sono stati raccolti 190.000$ e tutti speravamo in un miracolo. Un miracolo che c’era già stato due volte su queste montagne: nel 1977, quando Doug Scott si era rotto entrambe le gambe a 7100 metri sull’Ogre ed era riuscito a sopravvivere e a tornare strisciando sulle ginocchia al campo base, dopo 10 giorni di brutto tempo. Nel 1978, dopo 3 settimane e diversi periodi di brutto tempo, Jim Donini, Michael Kennedy, Jeff e George Lowe erano stati dati per dispersi sul Latok I, ma dopo 26 giorni erano riusciti a tornare dalla “North Ridge”!

Il 3 settembre, 10 giorni dopo l’ultimo segno di vita, finalmente il meteo permetteva di volare! Era sereno! L’esercito pakistano è arrivato con 2 elicotteri. Conoscevo la zona e ho volato con loro. Abbiamo sorvolato la montagna per un’ora, volando fino ad un’altitudine di 7200 metri. È incredibile quanto bene l’elicottero “Ecureuil” vola a queste quote. Oltre alla ricerca, potevo vedere questo fantastico paesaggio da una nuova prospettiva, ma non sono riuscito a godermelo. Diverse volte abbiamo sorvolato la loro via sulla parete nord, la possibile discesa lungo la cresta nord ovest, i crepacci, le valli ed i fianchi della montagna. Poi però abbiamo dovuto confrontarci con la tragica realtà: non ci sarebbe stato un terzo miracolo nel massiccio del Latok. Di Scott e Kyle non c’era nessuna traccia. Trasmettere questo messaggio, togliere alle loro famiglie ed agli amici la speranza, è stato difficile. Ho sentito il loro dolore, li volevo aiutare ed allo stesso tempo ero impotente. Vedevo dall’esterno cosa succede quando due appassionati alpinisti accettano, pieni di motivazione, la loro sfida e poi non ritornano più. Alla fine, per chi resta, rimane soltanto l’impotenza.

Dopo questo periodo emotivamente così burrascoso è stato difficile tornare a pensare in maniera lucida. Meglio andare ad arrampicare! Toni, Sebi e io volevamo salire la cresta Nordovest dell’ Ogre II, per essere preparati al meglio per la parete nord del Latok I, e forse anche per trovare delle risposte su dove fossero finiti gli statunitensi. Siamo saliti fino a 6200m, l’ultimo campo prima della cima. La mattina presto il maltempo, inaspettato, ci hanno costretti a scendere. La ritirata è stato un vero e proprio banco di prova. A causa delle nevicate l’altopiano è diventato una trappola, minacciata dalle valanghe. Con molta fortuna siamo riusciti a fare ritorno al ghiacciaio. Grazie al cielo! Ma la questione del destino degli statunitensi rimaneva ancora senza risposta.

In questo periodo lo stato di salute di Max, il nostro cameraman, è così peggiorato che l’unica decisione giusta per lui era abbandonare la spedizione. Finalmente è tornato il bel tempo e Max ha salutato il Choktoi. Io l’ho accompagnato durante il primo giorno di ritorno alla civiltà. Avevamo un buon piano: mentre accompagnavo il mio amico, Sebi e Toni avrebbero osservato la parete durante il bel tempo. Così al mio ritorno, avremmo attaccato la parte bassa della parete per scoprire come davvero fosse questo Latok I. Dopo 40 km e 1000 metri di quota più in basso Max si sentiva meglio e la fase critica era stata superata. Ha continuato il suo cammino con i portatori mentre io sono tornato al campo base. Sapere che Max era al sicuro si traduceva nella libertà di poter pensare soltanto all’alpinismo, alla sfida sul Latok I: essere finalmente insieme sulla sua parete nord!

Il mio team però la vedeva diversamente: Toni aveva una brutta sensazione e non credeva nel successo in quelle condizioni, con la parete così ricoperta di neve; pensava che avrebbe fatto troppo freddo in quota e che fosse troppo pericoloso! Sebi condivideva la stessa opinione, ed entrambi volevano mattere fine alla spedizione. Non riuscivo a credere a quello che mi stavano dicendo. Ero fermamente convinto che avremmo iniziato l’indomani, che avremmo toccato la parete per la prima volta e che saremmo saliti. Invece mi hanno detto un chiaro “No”. Sono rimasto deluso e triste, e in quel momento non volevo nemmeno capire la loro scelta, anche perché le previsioni davano diversi giorni di bel tempo. Anche l’anno scorso avevamo discusso troppo al campo base e alla fine la paura della cima era stata più grande del coraggio di partire dal campo base.

Ho accettato il loro punto di vista e, come l’anno scorso, la spedizione è finita ancora prima di iniziare, prima di aver mai iniziato a salire il Latok I. Avevo visto giorni migliori, ma ciò nonostante ho riportato con me dal Choktoi anche delle cose buone: so che dopo l’incidente sto nuovamente bene, so di aver tentato in tutti i modi di trovare Kyle e Scott e per fare ciò di aver messo i nostri interessi in secondo piano, so che Max è tornato giusto in tempo alla civiltà, come Jim Donini e George Lowe erano nuovamente difronte alla loro “North Ridge” dopo 38 anni. E infine so di non essere stato lì per l’ultima volta.

Sono stati tre mesi pazzeschi, nei quali ho vissuto tutto ciò che la vita può offrire: il confronto con la morte, l’energia della vita e la sopravvivenza, l’amore, la speranza, il dolore, la sofferenza, la delusione, la rabbia, ma anche la gioia, l’amicizia e la forza e l’unione del team. Ed anche qualcosa che mi ha sempre accompagnato: il desiderio. E ora vado per la mia strada, spero in un bel autunno, voglio andare ad arrampicare!

Richiamo precauzionale A.R.T.VA Ortovox 3.1

Riceviamo e pubblichiamo il comunicato stampa riguardante il richiamo precauzionale ARTVA Ortovox 3.1 con versione software 2.1

Singole segnalazioni dei nostri PARTNER SAFETY ACADEMY hanno fatto notare che nel dispositivo A.R.T.VA 3+ con la versione di software 2.1 in situazioni molto rare si può veri care un disturbo temporaneo della funzione di trasmissione. Ciò può comportare un prolungamento del processo di ricerca. Il motivo di questo disturbo è da ricercare in un errore di software.

Non abbiamo conoscenza di alcun incidente che avrebbe potuto essere causato da questo errore del software. Per escludere ogni tipo di rischio per i nostri clienti abbiamo deciso di avviare un’operazione di richiamo precauzionale del 3+ con la versione di software 2.1. I dispositivi interessati dall’azione di richiamo non possono più essere usati senza prima aver effettuato il necessario aggiornamento del software.

L’azione di richiamo precauzionale riguarda esclusivamente i dispositivi A.R.T.VA del modello ORTOVOX 3+ con la versione di software 2.1.

Non sono coinvolti i dispositivi 3+ con le versioni di software 1.0, 1.1, 2.0, 2.2 – indipendentemente dal colore del loro cassa – così come tutti gli altri dispositivi A.R.T.VA ORTOVOX (S1+, S1, ZOOM).

Contesto
Dalla fondazione della nostra azienda nel 1980 la sicurezza dei nostri clienti è per noi una priorità assoluta. Con il 3+ ORTOVOX ha venduto dal 2010 un prodotto efficiente per le situazioni d’emergenza in montagna. Nonostante i nostri approfonditi controlli di qualità abbiamo riscontrato una situazione che non era stata rilevata precedentemente nei nostri processi di controllo di qualità.

Gestione dell’azione di richiamo
Con la nuova versione di software 2.2 il difetto è stato eliminato. I dispositivi coinvolti possono essere inviati a partire dal 25/5. Tutte le informazioni necessarie per l’identificazione dei dispositivi coinvolti e la procedura prevista per questa azione di richiamo si possono trovare sul nostro sito web al punto www.ortovox.com/recall-3plus.

ORTOVOX Avalanche Transceiver 3+: Reading the software version and serial number

Cervino CineMountain Festival 2017

Dal 5 al 14 agosto 2017 Cervinia in Valtournenche, Valle d’Aosta, ospita la ventesima edizione del Cervino CineMountain Festival. Quest’anno alla rassegna dedicata al cinema di montagna ospiti speciali come Kurt Diemberger, Maurizio Manolo Zanolla, Hervé Barmasse, Alain Robert, Mira Rai, Renato Pozzetto e Massimo Boldi. Omaggi agli alpinisti Guido Monzino, Walter Bonatti e Ueli Steck.

Storie estreme, avventure che durano una vita intera o poche ore, imprese solitarie, ritratti di comunità e famiglie rurali, viaggi e racconti che spaziano dall’Artico all’Iran, dalle Americhe all’Est Europa: a poco più di due settimane dal via, il Cervino CineMountain, in scena dal 5 al 14 agosto, si annuncia più che mai ricco di novità e proposte. Il programma è una finestra aperta su mondi noti e ignoti. Le 38 opere cinematografiche presentate sono suddivise in varie sezioni. Nel menu troviamo i 10 film che hanno vinto i festival del circuito dell’International Alliance for Mountain Film e che concorrono per il Grand Prix des Festivals – Conseil de la Vallée, la sezione Montagne d’Italia, che unisce le opere realizzate nel nostro Paese, Film Commission Vda, che presenta i film girati in Valle d’Aosta, o da registi locali, Montagne Tout-Court, la sezione dei cortometraggi, From the World quella internazionale, e tre opere fuori concorso. Non mancano poi i vari eventi collaterali, gli ospiti e le personalità che renderanno speciale l’edizione XX: da Renato Pozzetto e Massimo Boldi, a Lella Costa, agli alpinisti Hervé Barmasse, Manolo, Alain Robert, Mira Rai e tanti altri.

I FILM IN CONCORSO
Grand Prix des Festivals – Conseil de la Vallée
I film in concorso per il Grand Prix des Festivals – Conseil della Vallée sono stati premiati dai festival più prestigiosi, membri dell’International Alliance for Mountain Film, di cui il Cervino CineMountain è socio fondatore. La montagna è raccontata in tutte le sue innumerevoli declinazioni: etnografiche, sociali, ambientali, antropologiche, naturalistiche, spirituali, sportive.

Troviamo l’impresa dell’arrampicatore Alex Honnold con l’amico Tommy Caldwell, impegnati nella Traversate del Fitz (A Line Across the Sky, di Josh Lowell e Peter Mortimer, USA, 2015, 40 minuti, Grand Prix Festival di Poprad in Slovacchia); , i britannici Matt Helliker e Jon Bracey che tentano di salire la cresta NW del picco ‘The Citadel‘, in Alaska (Citadel, di Alastair Lee (Regno Unito, 2015, 60 minuti, Grand Prix Festival di Lugano in Svizzera, primo film di montagna interamente in 4k); il tentativo di Daniele Nardi di salire la prima invernale sul Nanga Parbat (To the unknown – Verso l’ignoto di Federico Santini, Italia, 2016, 75 minuti, Grand Prix Festival di Tegernsee in Germania); la vita aspra di una allevatrice a 5600 metri, con montoni e capre, nel nord dell’India (The shepherdess of the glaciers – La bergère des glaces, di Stanzin Dorjai Gya e Christiane Mordelet, Francia, 2016, 74 minuti, Grand Prix Festival di Banff in Canada); i cambiamenti climatici osservati dal punto di vista del gestore di un impianto sciistico boliviano, rimasto all’”asciutto” (Samuel in the Clouds di Pieter Van Eecke, Belgio, 2016, 70 minuti, Grand Prix Festival di Autrans in Francia e Trento in Italia); un film sul rapporto turbolento tra un surfista islandese e il vento dell’Atlantico settentrionale (The Accord, di RC Cone, USA, 2016, 19 minuti, Grand Prix Festival di Kendal in Regno Unito); le storie dei portatori che affiancano gli alpinisti che salgono le Alti Tatra, dodici cime nei Carpazi (Sloboda pod ná kladom – Freedom Under Load di Pavol Barabas Slovacchia, 2016, 58 minuti, Grand Prix Festival di Torello e Mendi in Spagna e di Zakopane in Polonia); i portatori di alta quota che lavorano sulla seconda vetta del mondo (K2 and the invisible footmen di Iara Lee, Pakistan, USA, Brasile, 2015, 54 minuti, Grand Prix Festival di Ushuaia in Argentina); la resilienza dei portatori himalayani alle prese con un’immane tragedia (Sherpa di Jennifer Peedom, Australia, 2015, 95 minuti, Grand Prix Festival di Diablerets in Svizzera); le peripezie di una famiglia di scimmie dello Yunnan, in Cina, nella foresta più alta del mondo (Mystery Monkeys of Shangri-La, di Mark Fletcherm Cina, Austria, USA, 2015, 60 minuti, Grand Prix Festival di Graz in Austria).

Montagne d’Italia
Una panoramica della recente e migliore produzione nazionale. Vergot racconta il percorso di accettazione dell’omosessualità in una famiglia trentina rurale (Cecilia Bozza, Italia, 2016, 60 minuti), Dusk chorus – based on fragments of extintion è un viaggio sonoro nella foresta amazzonica dell’Ecuador (Nika Saravangia e Alessandro D’Emilia, Italia, 2016, 68 minuti), Il passo mostra la prima estate in alpeggio del 13enne Gabriele (Mattia Colombo, Francesco Ferri e Alessandra Locatelli, Italia, 2016, 52 minuti), La scelta di Quintino è il ritratto di un anziano e combattivo partigiano che vive in montagna, in un maso (Gabriele Carletti, Italia, 2017, 20 minuti), Monviso monamour filma il dialogo tra tre generazioni di sciatori estremi che si sono confrontati con il Monviso (Fabio Gianotti, Italia, 2016, 32 minuti), Senza possibilità di errore è dedicato al Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico (Mario Barberi, Italia, 2017, 60 minuti), Il passaggio è una prima assoluta, ed è girato tra le montagne della Valle d’Aosta e della Svizzera (Pietro Bagnara, Italia, 2017, 73 minuti), e infine L’ultima risalita racconta l’avventura sul Monte Cristallo delle Lepri di Misurina (Alessandro D’Emilia, Italia, 2017, 6 minuti).

From The World
Un giro del mondo in 6 film. W, di Steven Schwabl (Canada, 2016, 29 minuti) ha come protagonista un eccentrico scalatore che vuole salire una torre pubblicitaria, in 4634 – Perception – The mountain within di Philippe Woodtli (Svizzera, 2016, 27 minuti) Géraldine Fasnacht, l’alata “donna uccello”, ci accompagna sul Monte Rosa, Alptraum – the last great adventure di Manuel Lobmaier (Svizzera, 2016, 88 minuti) ci appassiona con le disavventure di due amici d’infanzia che scoprono la montagna, Santoalla, di Daniel Mehrer e Andrew Becker (USA, 2016, 82 minuti) è un thriller-documentario ambientato in un remoto villaggio galiziano, Jean Troillet – toujours aventurier, di Sébastien Devrient (Svizzera, 2016, 55 minuti), ripercorre la carriera di Jean Troillet attraverso un’intervista durata in 10 giorni, in bivacco a 3000 metri, e infine Arctic Superstar di Simen Braathen (Norvegia, 2016, 72 minuti) presenta SlinCraze, il rapper Sami che in un remoto villaggio scandinavo canta in una lingua in via di estinzione.

Montagne Tout-Court
Piccole grandi storie concentrate in un formato breve. The botanist di Maude Plant-Husaruk e Maxime Lacoste-Lebuis (Canada, 2016, 20 minuti), Riders on the storm di Franz Walter, (Germania, 2016, 20 minuti), Afterglow, di Tommaso Di Paola e Jack Webber, (Regno Unito, 2016, 6 minuti), Words of caramel di Juan Antonio Moreno, (Spagna, 2016, 21 minuti), Annapurna III – unclimbed di Jochen Schmoll, (Austria, 2016, 12 minuti), Kilian di Mike Douglas e Antony Bonello, (Canada, 2016, 14 minuti), Si va… Si va… documentario su una scalata perduta di Francesco Ballo, Italia 2017, 4 minuti.

Film Commission Vda
La cinematografia Made in Valle d’Aosta: registi, location, storie dalla regione più piccola d’Italia. In cartellone due prime assolute, Furia, di Marcello Vai (Italia, 2016, 73 minuti), e Molecole, di Veronica Fantini e Patrik Nicotera (Italia, 2016, 28 minuti), e poi Sagre balere di Alessandro Stevanon (Italia, 2017, 75 minuti), Une vie à apprendre di Eloïse Barbieri (Francia, Italia, 2017, 24 minuti), Viaggio a Montevideo di Giovanni Cioni (Italia, 2017, 55 minuti) e Aisthan di Kevin Kok (Italia, 2017, 8 minuti)

Fuori Concorso
Direttamente da FrontDoc 2016, il Festival del cinema di frontiera di Aosta, arriva a Valtournenche la pellicola vincitrice, Atlan, la storia di un giovane addestratore di cavalli turkmeno alle prese con difficili decisioni (di Moeen Karim Oddini, Iran, 2015, 62 minuti). Per la proiezione di Mira, di Lloyd Belcher (Cina, 2016, 42 minuti), sarà presente la protagonista, un’ex bambina soldato del Nepal che ha riscritto il proprio destino grazie al grande talento per la corsa. Infine, proiezione speciale del film Alain Robert, l’homme araignée, di William Japhet, (Francia, 2016, 26 minuti), a cui parteciperà lo stesso “uomo ragno”, autore di grandi scalate sui più alti grattacieli del pianeta. A fianco e lungo tutto il festival concorso, in un angolo dedicato, la proiezione dei film d’animazione per il primo Cervino CineMountain Kids.

GLI APPUNTAMENTI
Sabato 5 agosto, al Cinéma des Guides (h. 21,00), Luca Castaldini, della Gazzetta dello Sport, incontra Renato Pozzetto e Massimo Boldi. Una sorprendente chiacchierata con “i ragazzi di campagna” in montagna. Domenica 6 agosto (h. 21,00) si ricorda anche la figura di Walter Bonatti, raccontato da Lella Costa e moderato da Claudio Sabelli Fioretti, voce di Rai Raio 2.

L’edizione XX è l’occasione per raccontare la vita di grandi alpinisti ed esploratori. Lunedì 7, al centro congressi di Valtournenche, dopo un omaggio a Guido Monzino, con le guide alpine Antonio e Rinaldo Carrel, il protagonista della serata sarà Hervé Barmasse, che racconterà le proprie avventure vissute tra zero o ottomila metri (h 21.00).

Lo stesso Hervé Barmasse, in compagnia di Kurt Diemberger, ricorderà mercoledì 9, nella piazzetta delle Guide di Valtournenche (h. 11,00) il grande Uëli Steck: L’anello dei sogni è un appuntamento moderato da Enrico Martinet de La Stampa. In serata, alle h 21.00, incontro con “l’uomo ragno” Alain Robert, introdotto da Luca Castaldini. Si intitola “Con la roccia tra le mani” l’appuntamento con Maurizio “Manolo” Zanolla, alle 17.00, nella sala consiliare di Valtournenche: lo scalatore si racconta incalzato dalle domande di Roberto Mantovani.

Il Festival si chiude con Vertigo, uno show originale e inedito, un’unione di danza verticale, musica, mappature aeree, teatro e luci. Oltre ad Alain Robert, partecipano, guidati dal regista Gianluca Rossi, Arcangela Redoglia, Anicet Leone, Andrea Damarco, Boylerz e Andrea Carlotto.

I NUMERI
Venti candeline sul festival internazionale di film di montagna più alto d’Europa. Una cifra tonda, importante e suggestiva, che apre la porta agli altri numeri che caratterizzeranno l’edizione 2017. Il Cervino CineMountain, in scena dal 5 al 14 agosto, si annuncia più che mai carico di emozioni cinematografiche e non, sempre nel segno dell’avventura verticale. In 9 giorni di programmazione il pubblico – si attendono oltre 5000 spettatori – troverà in cartellone, nelle varie categorie, 38 opere cinematografiche, ovvero oltre 2000 minuti di “girato”. Lo schermo del festival ospiterà inoltre 3 proiezioni speciali fuori concorso. In giuria troviamo Hervé Barmasse, il “figlio del Cervino”, il conduttore radiofonico Claudio Sabelli Fioretti, la regista lituana selezionata a Cannes, Berlino, Venezia e Locarno Laila Pakalnina, la direttrice del Festival Internazionale del Fim di Montagna di Autrans Anne Farrer.

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Everest, sguardi al campo base del tentativo di salita invernale di Alex Txikon

Domenico Perri racconta il primo impatto al campo base dell’Everest dove Alex Txicon e Ali Sadpara si preparano per il loro tentativo di salita invernale senza ossigeno della montagna più alta della terra.

Dopo essere arrivati a Gorak Shep il primo gennaio e aver festeggiato il Capodanno a Lobuche, inusuale cornice ambientale con l’enorme mole del Nuptse sopra di noi, con Ali (Ali Sadpara ndr), ieri, 2 gennaio, siamo saliti al Kala Pattar a circa 5500 m. In una giornata fredda e luminosa, come ormai succede da molti giorni. Dalla vetta, si apre un panorama straordinario sul ghiacciaio del Khumbu e sugli anfiteatri di roccia e ghiaccio che circondano la grande mole dell’Everest, la cui cima si intravvede appena dietro il Lhotse.

Un breve riepilogo delle condizioni del gruppo: a Gorak Shep siamo arrivati io, Alex (Alex Txicon) e Ali con alcuni portatori, il resto del gruppo si è trattenuto a Lobuche, a causa di evidenti sintomi di mal di montagna che hanno colpito alcuni membri del team. Soprattutto Dani, il surfer di Barcellona, continua a soffrire da giorni di emicrania.

Ieri, 2 gennaio, appena rientrati dal Kala Pattar, dopo una colazione veloce ci siamo avviati verso il campo base. Una risalita lenta attraverso morene e pietraie che coprono la grande lingua di ghiaccio del Khumbu, in circa tre ore. Il campo è disposto a raggio, intorno alle due tende principali, dove sono sistemate la cucina e la sala da pranzo. Io mi sono ficcato dentro la tenda comoda e accogliente. Sopra di noi, incombente, la seraccata del Khumbu, su cui dovranno esser montate le scale per consentire l’attraversamento complesso dell’Icefall. Ma ben presto ho percepito di trovarmi in un luogo estremo, in condizioni ambientali proibitive.

Nel tardo pomeriggio il cielo si è chiuso sotto una coltre di nuvole dense. Il vento del nord cominciava ad abbattersi sulle nostre tende, e la sensazione primaria era di essere in balia di forze grandiose. Anch’io cominciavo ad avvertire qualche sintomo, mal di testa e inappetenza. Alex, sempre sereno e sorridente, mi sottopone alla saturazione dell’ossigeno nel sangue, in effetti era di 71, al di sotto dello standard necessario per una buona acclimatazione.

Intanto Ali, mio compagno fidato, si prendeva cura di me in modo amorevole, preparandomi il sacco, sistemandomi i materiali, offrendomi del tè… Con Ali ho stabilito un rapporto profondo, fatto di piccoli doni reciproci (gli ho dato dei guanti pesanti d’alta quota è un paio di mutandoni), di sorrisi complici, di riflessioni intorno alle sue salite sugli ottomila insieme ad Alex, Nardi ed ai polacchi. E di tutto questo vi dirò in modo più approfondito in un report dedicato ad Ali Sadpara. Uomo generoso e semplice, ma dotato di una forza psicofisica straordinaria.

La notte è stata una delle più dure della mia vita. Solo al campo due dell’Aconcagua, in Argentina, avevo vissuto qualcosa di simile. Per quanto fossi ben equipaggiato, sentire intorno a me il vento impressionante che a tratti si abbatteva sulla tenda con raffiche potenti e il calo drastico delle temperature, almeno 23/24 gradi sotto zero, con tutti i sintomi del mal di montagna, francamente era troppo. Ma ho cercato di concentrarmi e valutare ogni possibile opzione. L’unica concessa era quella di aspettare che il tempo passasse.

In piena notte, avvertii dei conati di vomito e usai un sacchetto. La notte era ancora lunga, la condensa produceva cristalli di ghiaccio che si depositavano sul sacco creando una condizione di freddo ulteriore. Potevo solo avvolgermi nel sacco e attendere. “A dda fini’ a nuttata!”. Dopo 14 ore di attesa il cielo ci aveva concesso stamattina, una delle albe più belle. Oggi sono rientrato a Gorak Shep in uno stato di sfinimento.

Domenico Perri

info: Everest 2018 Winter Expedition b.c. 5364 m

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Video arrampicata: lo spettacolo dell’Aguglia di Goloritzé

L’arrivo di due climber, sconosciuti e bellissimi, in vetta dell’Aguglia di Goloritzè, l’affascinate monolite di calcare della Sardegna. Un momento di gioia pura sopra il mare turchese del Golfo di Orosei.

La magia della scalata all’Aguglia di Goloritzè resiste al tempo. Ogni anno centinaia di scalatori ne raggiungono la vetta e altrettanti sognano un giorno di poterla scalare. Questo video mostra, con l’aiuto di un drone, una cordata nel momento in cui raggiunge la cima, e la gioia e l’euforia di trovarsi in un tale paradiso.

Non sappiamo i nomi degli scalatori ma solo che si tratta di climbers genovesi, chi ci aiuta a rintracciarli per donargli il video come ricordo di questo magico momento?

Maurizio Oviglia

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Tre nuove vie d’arrampicata su Cima Cee, Dolomiti del Brenta, by Luca Giupponi & C.

La scoperta della parete Sud Ovest di Cima Cee nella Brenta Settentrionale (Dolomiti di Brenta, Val di Tovel, Valle della Roccia) da parte di Luca Giupponi che dal 2014 con diversi compagni ha aperto, rigorosamente dal basso, e poi liberato 3 nuove vie d’arrampicata sportiva belle e difficili. Appigli dispersi (260m, 7c max, 7a obbl); La linea del tempo (300m, 7c+ max, 7a obbl.); Silverado (200m, 8a/8a+ max, 7b obbl.). Il report di Luca Giupponi e Rolando Larcher.

Nell’Autunno 2013 mio fratello Davide mi ha accompagnato in una selvaggia valle del Brenta Settentrionale dove ha visto una parete, bella e sconosciuta. Siamo nella zona del lago di Tovel vicino a casa nostra. Tutti e due siamo appassionati di questi luoghi, insieme qui abbiamo aperto otto vie, conosciamo bene queste montagne, ma questa valle laterale ci era sfuggita! Increduli osservando la cartina leggiamo che si chiama Valle della Roccia, il nome sembra propizio!

Sbucato dal bosco mi si presenta davanti un piastrone di calcare grigio nero di circa 250 metri, girato a nord ovest e lisciato dall’acqua. Studiamo la parete con il binocolo. Non si vedono linee evidenti e neppure si riconoscono appigli e appoggi: sono tutti girati all’inverso! Purtroppo è Novembre, la parete è tutta bagnata, così rimandiamo all’anno prossimo.

Estate 2014, decidiamo di attaccare in centro alla parete e di ragionare a metro, nel senso che non guardo molto all’insù, ma risolvo e mi godo man mano quello che ho davanti poi si vedrà. Mi assaporo il piacere di creare una prima linea, il privilegio, la libertà e la responsabilità di avere una parete vuota. Spero di essere all’altezza della via e di non finire in un vicolo cieco. L’etica che in cui credo è l’arrampicata libera, sempre, mai passaggi in A0 o sui cliff, passi obbligatori.

Ho aperto altre vie su pareti nord ovest con roccia simile, su cima D’agnola, o al Piz Meda, ma una roccia così levigata non l’avevo mai trovata. Diverse volte ho dovuto abbassarmi e mettere lo spit più in basso di dove ero arrivato in arrampicata, perché non c’era nulla su cui fermarsi.

Tra un temporale e l’altro in 4 intense giornate di arrampicata, con quattro diversi compagni, Davide (giupponi ndr), Giorgio (Bertagnolli), Ulla Walder (mia moglie) e Franco (Battocletti) che ringrazio di cuore, riesco a finire la via. Una immensa soddisfazione, non tanto per le difficoltà effettive ma per il tipo di arrampicata, mai scontata, la qualità della roccia, la linea che ne è uscita, l’estetica e l’essenzialità di alcuni tiri dove bastava poco di meno, per complicare di molto la situazione. Mentre scalavo su Appigli dispersi avevo intuito che a destra c’erano delle belle lavagne… ma ero stufo di placche dovevo far passare un po’ di tempo.

Passata una stagione ci sono ricascato di nuovo, inizio a destra una nuova via; piedi spalmati, cliff che scivolano, dita spellate, ma bicipiti riposati! Ma qui su queste cime sconosciute torno sempre volentieri, anzi sono i posti che preferisco e che mi stimolano di più. Così nell’estate 2016 è nata La linea del Tempo 10 tiri di sensazione anche qui, con difficoltà fino al 7c+ e alcuni tiri (2, 5, 7,8,) dei veri gioiellini. Compagni di questa salita sono stati Davide (Giupponi ndr) e Markus (Aufderklamm).

L’essenzialità per me è qualità di arrampicata. Dopo 34 anni di scalata sento molto di più la bellezza di un tiro, di un appiglio, che la difficoltà pura. Arrampicare ora è soprattutto scoprire appigli nuovi, in questo stile, sicuro ed esigente nel medesimo tempo.

Quest’ultima via la dedico a Paolo Leoni scomparso a settembre 2016. Ho sempre provato ammirazione per questo arrampicatore eccezionale, per la sua umiltà, per l’arrampicata naturale che l’accompagnava, per il suo ingegno nel costruirsi chiodi cliff, ganci… per le incredibili linee all’avanguardia che ha aperto nei fine settimana in Dolomiti, che resteranno a testimonianza del suo livello e audacia. L’avevo conosciuto nel 1988 alla falesia di Nomesino in Val di Gresta, dove accompagnava il figlio che iniziava ad arrampicare, lui saliva tutte le vie come fossero una via classica in montagna. Ricordo Les Prestige (7b+) con due rinvii e imbrago artigianale fatto in casa!

È stata una gioia immensa scoprire queste due vie, ma ne rimaneva ancora una da tentare, la più repulsiva. Finalmente quest’estate sono riuscito a convincere Rolando (compagno di tante belle salite) ad unire le forze per risolverla. Così tra giugno e agosto ha preso forma Silverado, un concentrato di tecnica, etica, bella roccia e divertimento.

di Luca Giupponi

Cima Cee di Rolando Larcher

Non sempre la prima valutazione è quella giusta! Questo è ciò che mi viene in mente pensando alla Cima Cee. Quando vidi per la prima volta questa parete, la scartai subito. Una decisione rapida e lapidaria, dovuta non a questioni di qualità (anzi di quella ce n’è fin troppa), ma perchè la sua levigata compattezza, tanto mi ricordava le gran fatiche e gli introvabili posizionamenti dei cliff, vissuti aprendo “Don Lurio” sulla vicina Cima Ometto.

Così rifiutai la generosa proposta di Gippo (Luca Giupponi), per tentare l’apertura di un nuovo itinerario. Lui non si perse d’animo e con entusiasmo, nel 2014 aprì e liberò la prima via di questa parete: “Appigli dispersi”. Un nome che faceva presagire, che quanto avevo visto, non discostava troppo dalla realtà… Quella fu un’estate assai piovosa, che non saziò a sufficienza il mio bisogno di montagna ed avventura. In autunno finalmente il tempo migliorò e grazie alla quota non eccessiva ed un sole magnifico, alla fine di ottobre assieme ad Herman Zanetti, andai a provare la nuova creazione. Ne rimasi piacevolmente colpito: dalla roccia solida e molto esigente tecnicamente; dall’ambiente selvaggio, estetico, quieto ed accogliente. Ma soprattutto dalla bella ed impegnativa via aperta con maestria da Gippo, nonostante lo stile della parete fosse l’antitesi alle sue doti. Un buon esempio, perchè non è giocando in casa che ci si migliora…

La parete offriva altre possibilità, con linee ancor più esigenti e Luca nel 2016 tornò all’attacco, saggiandone il lato destro. Assieme al fratello Davide (lo scopritore della parete) ed altri amici, riuscì a risolvere un altra incognita interessante: “Linea del Tempo”. Arriviamo così a quest’ultima primavera, quando la ricomposta collaudata cordata, Giupponi-Oviglia-Larcher, decise di ripetere la nuova creazione. Una piacevole, goliardica giornata di scalata, lungo questa impegnativa via, con il risultato di un’altra bella on-sight.

Due vie, due capolavori, due giornate di totale godimento della scalata. Nel mezzo delle due, la linea principale della parete: evidente, fantastica, magnetica, intonsa. Per questa era giunto il momento di ricredermi. Mi ero sbagliato a giudicare negativamente questa nuova parete; ma forse nemmeno troppo… ero stato solamente obbiettivo! Qui però la qualità e l’estetica sono tanta cosa, tali da giustificare l’impegno richiesto; perchè le cose di valore vanno sempre sudate e guadagnate!

Felici e spensierati come due bimbi, io e Gippo ci siamo ritrovati ancora assieme, curiosi ed entusiasti nello scoprire il nuovo giocattolo. Un progetto comune, ottima occasione per vivere dei piacevoli momenti d’amicizia, rubati a mille impegni.

Difficoltà e bellezza corrispondevano alle aspettative e in quattro splendide giornate, abbiamo risolti tutti i rebus motori per la cima. Era nato “Silverado”, luogo in cui il colore grigio argento predomina, sinonimo di ottima pietra lavorata dall’acqua e dal calcare, garanzia di elegante scalata.

di Rolando Larcher

Ringraziamo per le splendide foto Geremia Vergoni.
Per il supporto tecnico:
Rolando Larcher: La Sportiva – Montura – Petzl – Totemcam.
Luca Giupponi: La Sportiva – Mammut

APPIGLI DISPERSI
Materiale: 2 corde 60 metri, friend BD dal numero 2 al 0,2.
L1. 6a 40 metri 5 spit friend BD 0.4
L2 5c 30 metri 3 spit friend BD 0.5
L3 7a + 38 metri 5 spit + 3 clessidre
L4 7c + 35 metri 8 spit
L5 6b + 28 metri 2 spit friend BD 0.4, 0.75, 1 kong 00
L6 7c 30 metri 8 spit
L7 6c+ 25 metri friend BD 0.4, 0.75
L8 7a + 35 metri 7 spit
Discesa in doppia dalla via. Dalla sosta 8 alla S.7-S.5-S.3-S.2-terra.

LA LINEA DEL TEMPO
Materiale: 2 corde 60 metri, 10 rinvii, friend BD1, 0.75, kong 00, per L3 e L4. L1. 7b+ 32 metri 8 spit
L2 7b+ 30 metri 8 spit
L3 7a 20 metri 5 spit friend BD 1 kong 00
L4 6b 25 metri 4 spit friend BD 1 0.75
L5 7a+ 35 metri
L6 6c+ 20 metri 8 spit
L7 7c+ 40 metri friend
L8 7b 40 metri
L9 6c+ 40 metri
L 10 7a 20 metri
Discesa: in doppia dalla via

SIVERADO
Materiale: 2 corde 60 metri, 14 rinvii, Totem Rosso, Viola e Blu
L1. 7c+/8a 40 metri 13 spit
L2 7b 18 metri 3 spit
L3 7b+/7c 30 metri 7 spit + Totem Rosso e Viola
L4 7a+/7b 30 metri 6 spit + Totem Viola
L5 8a/8a+ 55 metri 13 spit + Totem Blu
L6 7b 35 metri 9 spit + Totem Blu
Discesa in doppia dalla via

ACCESSO Cima Cee: Da Tuenno (Val di Non) per la Val di Tovel fino al ristorante Capriolo. Qui prendere a dx la strada sterrata per Malga Tuenna e dopo circa 4 km sulla dx si incontra una baita in legno a bordo strada. Continuare ancora per circa 300 metri fino al bivio a dx con una strada forestale con sbarra e divieto, qui parcheggiare. Proseguire a piedi per la forestale e al bivio tenere la destra. Dopo circa 15 min, 40 mt prima che finisca la strada, prendere la ripida traccia a sx che risale la Valle della Roccia. Seguire la traccia segnata da ometti finché si arriva alla pietraia poco sotto la parete. In totale dalla macchina circa 40 min.

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